Venezia potrebbe realizzare un modello industriale di fundraising

Non l’ennesima fondazione, ma una piattaforma permanente che metta in rete fondazioni locali e internazionali, Art Bonus e fondi pubblici, offrendo un’unica porta di accesso ai donatori

Tommaso Santini

E se Venezia smettesse di vivere “a progetto” e costruisse finalmente un’architettura stabile e duratura per il fund raising?

Se analizziamo l’ultimo quinquennio, le risorse per la città sono arrivate principalmente da tre canali: fondi pubblici straordinari, mecenatismo internazionale e agevolazioni fiscali.

Dopo l’acqua alta del 2019 lo Stato ha stanziato oltre 150 milioni per rimborsi e ricostruzione, a cui si sono aggiunti contributi europei dal Fondo di Solidarietà (oltre 50 milioni) e campagne civiche locali. Non briciole: una massa critica che ha rimesso in piedi esercizi commerciali, scuole, chiese, laboratori.

Sul fronte privato, Venezia attrae una filantropia cosmopolita, ma frammentata. Save Venice, principale charity statunitense, ha entrate annue nell’ordine di 3–5 milioni di dollari e singoli eventi capaci di superare 1,2 milioni in una sera, destinati a restauri puntuali.

Venetian Heritage mobilita maison e grandi donatori (come per esempio Dior, Louis Vuitton, Armani) con weekend di gala legati alla Biennale: nel 2022 si sono raccolti circa 1,4 milioni per Ca’ d’Oro e Arsenale. Anche il mondo anglosassone contribuisce attraverso il Venice in Peril Fund (entrate 2023: ~364mila sterline). Segnali solidi, ma su una dimensione ancora “di progetto”.

L’Italia ha poi uno strumento che molti ci invidiano, l’Art Bonus: il credito d’imposta del 65% sulle donazioni alla cultura, reso permanente dal 2016 e attivato anche per i luoghi colpiti dall’acqua alta. A Venezia ha finanziato restauri diffusi, ma la città non è riuscita ancora a sfruttare l’incentivo per cogliere l’opportunità di costruire un portafoglio stabile di donatori “seriali”.

Cosa manca dunque?

Un modello industriale del fund raising

Le best practice internazionali indicano la strada. Il Louvre usa da anni il crowdfunding “Tous Mécènes!”: campagne rapide, obiettivi chiari, ritorni simbolici immediati. Nel 2023, oltre 5.000 donatori hanno finanziato l’acquisizione della Choiseul Snuffbox, con più di 1,2 milioni raccolti in poche settimane. Non solo soldi: è community building, cioè appartenenza. Il Rijksmuseum, museo nazionale d’Olanda, adotta una strategia in grado di integrare grandi donazioni-plafond con club deal di imprese grazie a partnership pluriennali: con una singola liberalità privata da 12,5 milioni ha garantito programmazione stabile per anni.

A New York, l’amministrazione ha attivato da anni il Department of Cultural Affairs che coordina fundraising e programmazione di decine di istituzioni.

Per Venezia, la strada non è dunque un’altra fondazione, ne esistono già molte in città e per la città, ma un hub del fund raising: una piattaforma permanente che metta in rete fondazioni locali e internazionali, Art Bonus e fondi pubblici, offrendo un’unica porta di accesso ai donatori. L’hub garantirebbe KPI comuni, trasparenza totale e una regia che eviti sovrapposizioni e concorrenza interna.

Ciò contribuirebbe ad affrontare il salto di visione per passare da un fund raising episodico a una filantropia strategica, capace di pianificare il futuro della città e non solo di salvarne dei “pezzi” o di porre rimedio o dare ristoro a situazioni emergenziali.

Funzionerebbe come un’orchestra: ogni ente mantiene la sua identità, ma la partitura è unica. Il donatore potrebbe scegliere tra restauri, ambiente, housing o salvaguardia lagunare, con obiettivi chiari, report periodici e visite dedicate per verificare gli stati di avanzamento.

Un CRM (Customer Relationship Management cioè una rubrica evoluta ed aggiornata) centralizzato permetterebbe di coltivare relazioni durature, trasformando chi oggi dona una tantum in sostenitore stabile.

Un approccio così strutturato consentirebbe di dotare la città di una visione e di una strategia coerente e condivisa per il fundraising. Perché la vera sfida di Venezia non è trovare chi la ama — il mondo intero lo fa — ma offrire a questo sentimento un canale efficace, coordinato e trasparente. Solo così la città potrà pianificare il proprio futuro invece di salvarsi, ogni volta, all’ultimo minuto.

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