La città della rissa permanente: Venezia come rappresentazione delle “Baruffe Chiozzotte” del XXI secolo
Energie perse in conflitti di superficie anziché unirsi per affrontare i nodi veri come la demografia in calo, i giovani che se ne vanno, la gestione del turismo, la manutenzione del patrimonio

Ogni pretesto è buono per lo scontro. Da Bezos a Venezi alle grandi navi, Venezia diventa lo specchio di una democrazia incapace di dialogare e le prossime elezioni promettono solo ulteriori battaglie rituali.
Venezia è la cartina di tornasole di un Paese che non sa più confrontarsi. Goldoni mise in scena una Città, Chioggia, in baruffa permanente con le sue “Baruffe Chiozzotte”, piccoli attriti che degenerano in risse furibonde, dove il merito della questione è secondario rispetto al gusto di litigare. Oggi, tre secoli dopo, la città lagunare continua a incarnare lo stesso copione rappresentato dal grande commediografo. Basta una scintilla, un provvedimento sui flussi turistici, la nomina di una Direttrice d’Orchestra, un intervento urbanistico e l’opinione pubblica esplode in una deflagrazione di indignazioni.
Non è tanto la sostanza delle questioni a mobilitare. È l’occasione di avere un nemico da insultare, un torto da rivendicare, un presunto complotto da denunciare. Venezia, con il suo palcoscenico internazionale, è sempre pronta a offrire materia per nuove contese.
Le prossime elezioni non faranno eccezione, diventeranno l’ennesimo campo di scontro. Non saranno vissute come un’occasione per scegliere chi governa, ma come una guerra di religione. Non importa se si tratti di comunali, regionali o politiche, il rito del voto verrà interpretato non come competizione tra idee, ma come sfida esistenziale tra mondi inconciliabili.
La situazione di Venezia in questo senso è emblematica e la città si prepara ad assistere all’ennesima arena per opposti schieramenti che non solo non dialogano, ma non si riconoscono vicendevolmente come parti legittime della competizione elettorale. Chi vincerà dovrà affrontare non la fisiologica opposizione, ma l’indignazione sistematica, l’accusa di illegittimità, il sospetto di “inciuci”, la convinzione che la democrazia valga solo se coincide con la volontà dei propri sostenitori.
I cittadini veneziani, come gli italiani in generale, non usano più il dibattito come confronto delle idee per elaborare le soluzioni migliori di crescita, ma per difendere ad oltranza la propria posizione. In questa ottica ogni discussione diventa una rissa che richiama antichi echi in calli e campielli, messaggi “urlati” che echeggiano sui social con la stessa risonanza di quelli in Laguna. La conseguenza è un sistema politico che non sa più mediare. Le Istituzioni diventano contenitori fragili, incapaci di reggere l’urto di aspettative assolute. Le elezioni, anziché rafforzare la legittimità, rischiano di svuotarla ulteriormente. Se vincono gli altri è truffa, la libertà in pericolo, se vinciamo noi è il trionfo della giustizia, il volere del popolo. Venezia diventa così metafora di un Paese che confonde la democrazia con le vulgate da tifoseria becera.
Ogni evento diventa occasione per una baruffa su social e media sia che si tratti della questione infinita delle grandi navi o, più recentemente, della presenza di Jeff Bezos in Laguna e della nomina di Beatrice Venezi, lo schema non cambia. Non c’è spazio per una discussione seria sui pro e i contro, ma solo slogan “gridati” da schieramenti contrapposti e quindi se Bezos arriva in Laguna per alcuni è una imperdibile occasione di promozione del sistema Venezia e un ottimo risultato di buona imprenditoria, per altri è il trionfo dell’idolatria del profitto e della colonizzazione turistica della Città.
Se Venezi viene nominata è scandalo per chi la vede come “donna di regime” e trionfo per chi la considera simbolo di rinnovamento. Sulle grandi navi, poi, la città viene da anni di battaglie ideologiche, incapace di tradurre le posizioni in una soluzione condivisa Quello che si ottiene è la logica della rissa permanente, nessuno ascolta, nessuno media, tutti si arroccano sulle loro posizioni e così il risultato è sempre lo stesso: immobilismo. Venezia infatti resta ferma senza soluzioni mentre i problemi veri continuano a marcire sotto la superficie del bailamme delle polemiche.
Venezia ha sempre vissuto di contrasti. È Città fragile, sospesa tra acqua e pietra, storia e turismo di massa, identità locale e vetrina globale. Ma la fragilità oggi si è trasformata in vocazione allo scontro permanente. La comunità non si riconosce più in un destino comune e si divide in fazioni per principio. La dialettica democratica è stata sostituita dalla logica della fazione, dalla ricerca di un colpevole da additare.
La Città invece di unirsi per affrontare i nodi veri come la demografia in calo, i giovani che se ne vanno, la gestione del turismo, la manutenzione del patrimonio, preferisce disperdere energie in conflitti di superficie. Eppure il dialogo è la base della democrazia. Senza confronto non c’è crescita. Senza capacità di accettare che l’altro possa avere ragione non c’è maturazione collettiva. Venezia dovrebbe tornare a essere laboratorio di convivenza non arena di scontri rituali. E’ quindi necessario invertire la rotta in un contesto condiviso per iniziare a costruire il futuro.
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