Cosa chiedere al prossimo sindaco di Venezia
Serve un primo cittadino che non abbia paura di fare scelte nette, che non insegua il consenso minuto per minuto, ma costruisca una direzione chiara per i prossimi vent’anni

Ogni cinque anni Venezia elegge un sindaco. E ogni cinque anni ci raccontano che stavolta sarà diverso. Che arriverà il piano risolutivo, la delibera giusta, il mix ideale tra turismo e residenza, tra conservazione e rilancio. Ma la verità è semplice e scomoda: quello che manca non è il programma. Manca la classe dirigente.
A cosa serve oggi un sindaco a Venezia?
Non a fare il custode dei regolamenti, ma a chiamare a raccolta le forze migliori della città.
Non a promettere miracoli, ma a creare le condizioni perché le persone tornino a credere che qui si possa costruire qualcosa.
Perché la vera emergenza non è il traffico acqueo, la tassa di sbarco o i plateatici. È l’assenza di una classe dirigente all’altezza delle sfide del tempo. Una città che ha fatto la Storia non può rassegnarsi a farsi gestire. La politica non deve gestire la città, ma rigenerare l’élite civica. Serve una nuova generazione di imprenditori, professionisti, architetti, docenti, attivatori sociali e culturali. Gente che ha un mestiere e una visione. Che non cerca consenso, ma impatto.
Questo deve fare un sindaco: renderli protagonisti.
Venezia oggi è ferma tra due finzioni. Da un lato la città-museo: bella, immobile, imbalsamata. Dall’altro la città-delegata: dove tutto è decisa altrove Roma, Bruxelles, le Authority, gli esperti.
Ma una città viva non può essere né vetrina né delega permanente. Deve prendersi la responsabilità del proprio destino. Deve scegliere, sbagliare, correggere, migliorare.
E per scegliere serve qualcuno che sappia dove andare.
Il prossimo sindaco dovrà rompere questa paralisi.Dovrà smettere di proteggere l’esistente e iniziare a scommettere sul futuro.
Non servono promesse, servono riforme di libertà.
Non serve redistribuire con nuove tasse e contributi a pioggia, ma liberare energie nuove, creare le condizioni perché la ricchezza nasca, circoli, si moltiplichi.
L’uguaglianza vera non è quella dei sussidi, ma delle opportunità.
Serve una città dove il merito, il rischio e l’ingegno tornino a essere motori di mobilità sociale.
Ecco cinque azioni concrete, immediate, verificabili:
- Semplificare per chi fa.
Meno permessi, meno carte, meno scuse. Ogni giorno di burocrazia tolto è un giorno guadagnato per l’economia reale. Chi investe, lavora, crea valore dev’essere accompagnato, non ostacolato.
- Premiare chi genera valore, non chi vive di rendita.
Agevolazioni a chi affitta a lungo termine, incentivi per chi produce lavoro stabile e innovazione, non per chi accumula metri quadri e licenze.Il territorio deve essere capitale produttivo, non rendita immobiliare.
- Collegare Venezia e Mestre al mondo.
L’università, le imprese, la cultura e il turismo devono diventare un unico ecosistema competitivo, non feudi autoreferenziali. Le città che crescono oggi sono hub di competenze, non recinti identitari.
- Ripensare Mestre come città laboratorio.
Mestre deve smettere di essere la “terra di mezzo” e diventare il cuore sperimentale del Nordest urbano: startup, co‑working, formazione, servizi, mobilità sostenibile.
Qui si può costruire la nuova classe media veneziana, fatta di giovani, professionisti, innovatori.
- Formare una nuova élite urbana.
Non un’élite di casta, ma una classe dirigente aperta e basata sul merito, non le rendite di pozione: manager, artigiani, studiosi, creativi capaci di pensare globale e agire locale. Servono programmi di leadership civica, reti professionali e progetti condivisi per chi ha idee e voglia di rischiare.
Chiunque si candidi a sindaco dovrebbe sapere che non sarà giudicato per i comunicati stampa, ma per le persone che avrà saputo coinvolgere. La differenza la faranno le reti di fiducia, non le conferenze stampa. Venezia non si governa con i proclami ma abilitando chi vuole provarci. Non serve un nuovo Doge. Serve un regista della rinascita urbana.
Il prossimo sindaco dovrebbe essere capace di credere nei cittadini prima di governarli:
- sapendo incentivare chi rischia, non di sussidiare chi resta fermo;
- costruendo un’amministrazione che ascolta e velocizza, non che blocca e ritarda;
- circondandosi delle migliori competenze, delle persone più esperte, con più visione, scelte sulla base del merito non della fedeltà.
Una città liberale è quella che non ha paura di chi è più bravo, ma gli chiede di dare una mano. Una città liberale non penalizza chi lavora, ma punisce chi specula. Non si affida ai bandi, ma alla fiducia intelligente nella libertà ben usata prendendosi delle responsabilità in modo trasparente e partecipato.
Venezia e Mestre sono piene di vuoti. Vuoti fisici, sociali, economici, ma ogni vuoto è anche un invito a ripartire. Il prossimo sindaco non dovrà riempire tutti gli spazi, materiali e immateriali, ma lasciare spazio a chi ha idee, energie, desideri. La politica non deve fare tutto. Deve togliersi di mezzo dove serve per fare poche cose e bene.
Sarebbe bello avere un sindaco che non abbia paura di fare scelte nette, che non insegua il consenso minuto per minuto, ma costruisca una direzione chiara per i prossimi vent’anni.
Che non distribuisca deleghe come premi fedeltà, ma formi una squadra competente, esigente, coraggiosa.
Che sappia ascoltare chi produce, non solo chi protesta.
Che non venda sogni a buon mercato, ma liberi risorse, persone, occasioni.
E soprattutto, che rompa le scuderie e le appartenenze, che non si faccia ostaggio dei soliti noti, delle logiche di filiera, dei pacchetti di voti preconfezionati.
Non ci serve un garante degli equilibri. Ci serve un liberatore di energie.
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