Mestre e il caso del Grand Central: come tornare a fare vivere la città?
Bisogna attrarre attività economiche, professionali e istituzionali ad alto valore aggiunto, in grado di portare lavoro qualificato e nuova linfa alla città. Non solo turismo e ristorazione, però...

Di recente ha fatto notizia la chiusura del Gran Piave, il locale che fino a pochi mesi fa occupava l’angolo tra piazzetta Olivotti e l’inizio di via Piave. Era stato inaugurato con grandi speranze, prima come Grand Central e poi, con la gestione bengalese, come Gran Piave, ma non è riuscito a superare nemmeno l’anno di attività. Le sedie ancora impilate, la posta incastrata nelle maniglie e la coltre di foglie davanti alla porta restituiscono l’immagine malinconica di un locale che ha avuto due vite brevi e faticose. Il problema, però, va molto oltre la singola impresa: è il riflesso di una crisi più ampia che attraversa Mestre da anni. Il commercio soffre, il centro si svuota e ciò che fino a vent’anni fa era un polo vivace e attrattivo anche per le province vicine oggi fatica a trattenere residenti e attività.
Le cause sono molteplici e si intrecciano tra loro. Probabilmente i grandi centri commerciali sorti in periferia hanno lentamente drenato flussi che un tempo si riversavano nelle vie del centro, offrendo comodità, parcheggi gratuiti e un senso di sicurezza che Mestre non sempre riesce a garantire.
Le vie centrali, al contrario, sono spesso congestionate, difficili da raggiungere e con parcheggi insufficienti o costosi, scoraggiando molte persone dal venire in città. A questo si aggiunge il problema degli affitti commerciali, spesso troppo alti rispetto ai ricavi reali: una combinazione che rende fragile qualunque iniziativa imprenditoriale. C’è poi la questione della sicurezza, o meglio della sua percezione, un fattore decisivo nel determinare le scelte delle famiglie. Via Piave e le zone limitrofe convivono da anni con episodi di degrado e piccoli reati che, anche quando non rappresentano un’emergenza oggettiva, creano comunque un clima di sfiducia intorno al quartiere.
Accanto a questi fattori materiali, esiste una difficoltà più profonda: la scarsa integrazione tra le diverse comunità etniche che abitano Mestre. Non è una questione di presenza, ma di convivenza. Nel tempo si sono formate aree a forte concentrazione culturale che, anziché arricchire la vita urbana, hanno finito per creare una certa segregazione. Il risultato è che molte attività, soprattutto quelle gestite da nuovi cittadini, non riescono a rivolgersi a una clientela ampia e mista. Lo stesso destino del Gran Piave lo conferma: gli eventi organizzati dalla comunità bengalese non bastavano a coprire i costi di affitto e Tari e mancava quella continuità di clienti che solo un quartiere davvero vissuto può garantire.
Tutto questo accade in una città che, paradossalmente, dispone di servizi e infrastrutture di altissimo livello. Mestre ha parchi curati, musei, biblioteche, strutture sportive, un sistema sanitario di qualità e collegamenti strategici come porto, aeroporto e alta velocità. Ha locali, bar, ristoranti e spazi culturali in grado di competere con molte città italiane. Ciò che manca, però, è l’elemento essenziale: una popolazione residente stabile, giovane e attiva che scelga di vivere la città e di farla propria. Senza persone che animano le vie ogni giorno, nessun servizio, per quanto eccellente, riesce a generare vitalità urbana.
La sfida per la prossima amministrazione non potrà che partire da qui: riportare i residenti nel centro, e riportare il centro ai residenti. Per farlo serviranno misure concrete per migliorare la sicurezza reale e percepita, ripensare viabilità e parcheggi, favorire affitti sostenibili per chi apre un’attività e promuovere politiche urbanistiche che incoraggino l’integrazione e la mescolanza. Ma non basterà. Bisognerà anche attrarre attività economiche, professionali e istituzionali ad alto valore aggiunto, in grado di portare lavoro qualificato e nuova linfa alla città. Non solo turismo e ristorazione, che restano settori importanti ma non sufficienti: servono poli tecnologici, formativi, amministrativi e professionali che rendano Mestre un luogo desiderabile in cui vivere.
Solo così il centro potrà tornare ad essere ciò che era e potrebbe ancora essere: un cuore pulsante, attraversato e abitato, capace di sostenere il commercio, valorizzare le sue molte risorse e riconnettere una città che oggi rischia di sentirsi frammentata. Mestre possiede tutte le condizioni per rinascere, ma la sua rinascita passerà inevitabilmente dalle persone che saprà riportare nelle sue strade.
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