Statuto speciale di Venezia: “schei” senza visione

Una legge speciale avrebbe senso se fosse fiscale, selettiva e orientata alla crescita su tre assi: defiscalizzazione per il comparto Tech e ICT, aliquote agevolate per l’artigianato tipico, residenzialità internazionale e nazionale

Matteo Montagner

La vera specialità di Venezia? Chiedere “schei”: cinque miliardi in 50 anni, residenti dimezzati e turismo alle stelle; e ora l’IVA “creativa” per i turisti.

C’è un riflesso condizionato a Venezia: appena le cose si mettono male, si invoca lo “Statuto speciale”. È successo dopo l’alluvione del ’66, è successo negli anni ’80, succede oggi. E la traduzione è sempre la stessa: più poteri, più autonomia, più “schei”. Come se il problema fosse la quantità di denaro, e non l’assenza di un’idea di città per i prossimi cinquant’anni.

Chi ha memoria sa che i soldi non sono mai mancati. La Legge Speciale del 1973 ha garantito flussi miliardari per decenni: nel solo decennio 1984-1994, oltre 3.500 miliardi di lire; fra il 2000 e il 2010 altri 1,3 miliardi di euro. Dal ’73 a oggi: più di 5 miliardi di euro attualizzati. Risultato? La popolazione del centro storico è crollata da 174.000 residenti nel 1951 a meno di 50.000 oggi.

Nel frattempo il turismo è esploso: oltre 13 milioni di presenze ufficiali annue, che diventano 20 milioni contando i giornalieri. Una media di 20 turisti per ogni residente. Il 65% del PIL cittadino dipende dal turismo, mentre il manifatturiero ha perso il 40% in vent’anni; monocultura pura con la stessa fragilità di un’economia agricola che coltiva un solo raccolto.

E in questo contesto ecco l’ultima ricetta proposta da alcuni in ambito veneziano di alzare l’IVA ai turisti. È la Venezia “casello autostradale”: passi, paghi, e te ne vai. Zero strategia, zero attrazione di investimenti, zero diversificazione economica.

La domanda, quella vera, resta: risorse, per fare cosa?

Se l’obiettivo è tenerla sotto vetro come una reliquia allora tanto vale installare tornelli e POS all’ingresso di Piazza San Marco e incassare il contributo per la visita.

E attenzione: autonomia politica sì, ma non per replicare la stessa logica di sempre. La classe dirigente veneziana, a parti alterne, ha mostrato negli anni di avere difficoltà perfino a garantire la manutenzione proposta stradale ordinaria. Se si vuole un’autonomia reale deve basarsi su una governance a prevalenza economica e tecnica, capace di pianificare con criteri, requisiti e visione, e non sulla base della rendita elettorale di breve termine; una forma di gestione anche democratica, certo, ma filtrata da standard minimi di competenza e da obiettivi misurabili, come avviene nelle migliori città globali.

Una legge speciale avrebbe senso se fosse fiscale, selettiva e orientata alla crescita:

  • Defiscalizzazione per il comparto Tech e ICT: Venezia ha una infrastruttura digitale sufficiente, una terraferma con logistica moderna, il fascino unico del centro storico. È perfetta per startupper e remote worker internazionali (che in Italia chiamiamo “smart worker” anche se in inglese significa altro).
  • Aliquote agevolate per l’artigianato tipico: vetro di Murano, gondole, maschere, settori ad alto valore simbolico e culturale, oggi in declino per concorrenza low cost e mancanza di ricambio generazionale.
  • Residenzialità internazionale e nazionale: incentivi fiscali per chi sceglie di vivere e lavorare stabilmente a Venezia, renderla attrattiva per talenti dall’estero e recuperare i flussi interni italiani, invertendo la fuga di giovani e famiglie verso altre città.

L’esempio pratico esiste già: la campagna dell’ULSS 3 Serenissima “Dottore, la città più bella del mondo ti aspetta” ha portato più di 250 candidature di Medici di base in poche settimane, grazie a incentivi concreti: casa a canone ridotto e parcheggio gratuito a Piazzale Roma e Tronchetto (gli accessi automobilistici alla Città storica).

Venezia non ha bisogno di nuove gabelle, ha bisogno di una visione che attragga chi produce e vive, non solo chi consuma e se ne va. Perché i “schei” possono riempire le casse per un anno, ma solo le idee – e le politiche che le rendono operative –possono far rivivere una città per i prossimi cinquanta.

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