A Mestre, un solo italiano in classe: quando l’accoglienza non fa rima con integrazione
Difendere l'identità non equivale a escludere, ma a creare le basi affinché tutti possano crescere entro un quadro di regole, valori e lingua comuni

A Mestre, in una scuola elementare, su oltre sessanta alunni ce n'è uno solo di nazionalità italiana. Non è un semplice dato statistico: è lo specchio di un territorio in rapida trasformazione, che sfida la coesione stessa della nostra comunità. Come madre e amministratrice, vivo questa realtà come un autentico campanello d'allarme. Mi preoccupa profondamente assistere a famiglie italiane che rinunciano a iscrivere i figli in certe scuole, o addirittura a rimanere sul territorio, perché non si riconoscono più in una comunità che sentono estranea. Non si riduce tutto alla lingua: è una questione di apprendimento condiviso, di trasmissione di usi e costumi, di relazioni quotidiane che intrecciano vite.
Quando l'accoglienza non cammina di pari passo con l'integrazione, si genera un pericoloso squilibrio: la scuola si trasforma in un crocevia di esistenze parallele, senza veri scambi utili per la vita di tutti. I nostri figli meritano punti di riferimento solidi, regole comuni, un ambiente dove apprendere insieme valori, tradizioni e lingua italiana. Solo così l'accoglienza si rivela una risorsa preziosa, anziché una fonte di divisioni. La scuola non è solo un tempio dell'istruzione: è il cuore pulsante della società, è lì che si forgiano cittadini consapevoli, si tramandano radici culturali, si tessono identità collettive. Permettere che le aule si frammentino significa rubare alle nuove generazioni il diritto di sentirsi parte di una nazione.
Questo scenario chiama in causa direttamente la politica. Servono regole chiare: percorsi di integrazione rigorosi, con la lingua italiana come pilastro condiviso; una distribuzione equilibrata degli alunni stranieri e una collaborazione autentica con tutte le famiglie. Difendere l'identità non equivale a escludere, ma a creare le basi affinché tutti possano crescere entro un quadro di regole, valori e lingua comuni.
Affidare i figli alla scuola è un gesto di profonda fiducia. Ma quella fiducia non può essere acritica: deve fondarsi sulla certezza che la scuola italiana resti un luogo dove l'italiano sia ancora una lingua viva, dove i nostri bambini maturano sapendo chi sono, senza il timore di diventare minoranza nel proprio stesso Paese. Non è solo una questione di numeri: è una partita sul futuro. E il futuro di una comunità si plasma nelle aule, ogni mattina, quando un bambino impara a leggere, scrivere e parlare nella lingua che lo lega alla sua terra. Non possiamo attendere che questi segnali si tramutino in emergenze: è urgente creare una sinergia tra genitori, insegnanti e istituzioni, per garantire che i nostri figli crescano fieri delle proprie radici e siano pronti a custodire e tramandare in futuro le radici e i valori della propria comunità.
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