Ritrovare l’identità di Venezia e Mestre: la sfida del futuro

La città deve spalancare di nuovo i propri orizzonti, promuovere le sue eccellenze e riportare la cultura al centro. Invece, al centro, sono finiti esercenti di basso livello, catene internazionali e negozi privi di qualsiasi contributo alla vita cittadina.

Marta De Vivo

Di cose che Venezia e tutto il territorio che la circonda potrebbero diventare ce ne sono molte, ma la prima (e la più urgente) è che i territori tornino ad essere sé stessi. Il centro storico non è un set cinematografico a cielo aperto, non un parco tematico per crocieristi, ma una capitale della cultura, come lo è stato per secoli. Deve riposizionarsi come protagonista sul palcoscenico internazionale e smettere di essere il baricentro di un turismo insostenibile e, diciamolo, povero. Non povero di denaro - quello circola eccome - ma povero di curiosità, spessore e bellezza autentica.

Venezia deve ripopolarsi di persone che ne apprezzino il valore culturale, e più di ogni altra cosa, deve tornare a proporlo con forza. Perché, sebbene resti indiscusso, oggi quel valore appare appannato. La città deve spalancare di nuovo i propri orizzonti, promuovere le sue eccellenze e riportare la cultura al centro. Invece, al centro, sono finiti esercenti di basso livello, catene internazionali e negozi privi di qualsiasi contributo alla vita cittadina. Le librerie chiudono, i centri culturali arrancano, e così il centro storico rischia di trasformarsi in un duty free galleggiante.

Lo stesso discorso vale per Mestre, che dovrebbe rimettere in primo piano la propria vocazione ad aggregare culture diverse, puntando sugli studenti universitari: numerosi, vitali, ma spesso confinati in anonimi casermoni. Servono spazi che li attraggano - hub di co-working, luoghi di studio e iniziative culturali - non soltanto strutture ricettive. Con l’M9 si era imboccata la strada giusta e lo stesso vale per il restauro della VEZ, ma si può, e si deve, fare di più: recuperare gli spazi abbandonati, edifici dimenticati da anni e trasformarli in centri di incontro, studio, lavoro e creazione.

Non è un lusso, è un investimento strategico, necessario per dare visione e respiro alla città. Gli studenti che scelgono Mestre come alternativa più accessibile a Venezia sono molti, e offrire loro occasioni per conoscersi, collaborare e dare vita a progetti non è un atto di generosità come alcuni amano dipingerlo, ma una scelta politica di lungo periodo.

Poi c’è il Lido di Venezia: unico e inconfondibile, con spazi inutilizzati che potrebbero ospitare iniziative capaci di rivitalizzare il senso di comunità. Perché, alla fine, è proprio questo che manca: un Comune che sia capace di recuperare il respiro e la coesione di un grande hub, in grado di coinvolgere, unire e ridare luce a un territorio che quella luce ce l’ha sempre avuta, e che francamente, meriterebbe ancora.

Solo lavorando con una strategia chiara e una visione di lungo periodo sarà possibile ridare ai territori il giusto spazio e una missione autentica. Una missione capace di farsi portatrice di rivoluzione e innovazione, puntando sulla cultura, sull’università e sul restauro di edifici che possano ospitare iniziative in grado di arricchire non soltanto residenti, cittadini e studenti, ma anche chi arriva da fuori. Solo così questo territorio potrà riappropriarsi di un’identità che da troppo tempo ha smarrito.

Quando un territorio perde la propria identità, comincia ad impoverirsi. Non è un impoverimento meramente economico: la perdita è innanzitutto culturale e sociale. L’identità è ciò che genera ricchezza, crea capitale e alimenta attrattività. È il grande tema di questo secolo: senza identità, tutto si svuota e appassisce.

Un territorio diventa grande grazie alla sua identità, è quest’ultima che consente di competere in Italia e all’estero, di innovare e attrarre turismo di qualità, guadagnando così credibilità agli occhi di chi vuole investire. L’identità non è un concetto astratto: è la radice da cui nascono sviluppo, reputazione e crescita. Chi la difende, cresce; chi la dimentica, si condanna all’irrilevanza.


 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia