Overtourism o turismo “Over” Venezia?

Non si tratta solo di flussi e volumi, ma di una città che ha superato da tempo il punto di equilibrio tra economia, vivibilità e identità. E che ha bisogno non di un “ritocco”, ma di una riconversione profonda

Andrea Casadei*

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui parliamo di turismo a Venezia. Ogni volta che si riaccende il dibattito, il riflesso è sempre lo stesso: lamentarsi delle troppe presenze, polemizzare su un evento, indignarsi per i caffè da 43 euro. Ma il problema vero, sistemico, resta sempre fuori fuoco.

Venezia non è più solo “troppo turistica”. Venezia è totalmente dipendente da un’industria turistica che non governa più, che la sfrutta e la svuota allo stesso tempo. E che, superata ormai da anni la soglia critica, non produce valore, ma entropia. I dati sono noti: quasi 33 milioni di presenze annue, meno di 50.000 residenti nella città storica, migliaia di alloggi sottratti alla residenza per alimentare l’extralberghiero. E intanto la qualità della vita, per chi ci vive, continua a deteriorarsi. Un milione di turisti in più ogni anno, contro 1.000 residenti in meno.

Chiamiamolo “turismo over”, non overtourism. Perché non si tratta solo di flussi e volumi, ma di una città che ha superato da tempo il punto di equilibrio tra economia, vivibilità e identità. E che ha bisogno non di un “ritocco”, ma di una riconversione profonda.

Non è (solo) questione di numeri: nel 1992 il COSES fissò la capacità di carico a 32.000 turisti/giorno. Oggi siamo stabilmente mediamente sopra quota 90.000. Non si tratta di tornare indietro per nostalgia, ma di capire che oltre una certa soglia il turismo non porta più benessere ma disfunzioni: trasporti al collasso, commercio di prossimità in estinzione, gentrificazione spinta, rendita fondiaria che espelle i residenti.

Scontentare i turisti

Il paradosso? Anche i turisti stessi sono scontenti. Arrivano per vivere un sogno e si ritrovano in una bolgia, spaesati tra code, folla e una città che non riesce più a offrire servizi all’altezza delle aspettative nei prezzi e nella qualità. Una “must destination” compressa in 6–60 ore, anziché una città da scoprire con lentezza e rispetto, una “smart destination” ideale anche per il lavoro in remoto temporaneo.

Serve una cura, non un palliativo, serve una politica strutturale. Non bastano i tornelli occasionali o le campagne di sensibilizzazione. Serve una visione di medio-lungo periodo che metta insieme gestione dei flussi, fiscalità di scopo, sostegno alla residenza e nuovo welfare urbano che impatti anche sulla terraferma veneziana.

Il progetto Pass4Venice, ad esempio, proponeva sin dal 2015 un cambio di paradigma: un citypass a pagamento con prezzo dinamico, accesso controllato tramite hub di ingresso, trasporti inclusi, ingresso gratuito a musei ed esposizioni. Non una tassa punitiva, ma un patto con il visitatore: paghi un contributo, ottieni servizi, partecipi alla rigenerazione della città. Un sistema che può assicurare fino a 400 milioni l’anno, da destinare alla residenza, alla mobilità, alla riconversione economica alla creazione di nuove economie e posti di lavoro.

Da destinazione consumata a “nuovamente” città: perché il punto è proprio questo: cosa vogliamo che sia Venezia tra vent’anni? Un parco a tema svuotato, o una città cosmopolita, integrata nella sua dimensione territoriale, vivace, con residenti, studenti, imprese e turismo intelligente?

Il turismo di oggi non può più essere l’unica economia. Ma può essere il motore di una trasformazione se regolato con intelligenza e indirizzato verso una nuova idea di città. Venezia può diventare un laboratorio europeo di gestione urbana, sostenibilità e innovazione sociale. Ma servono coraggio, investimenti e soprattutto una scelta politica chiara: non difendere lo status quo, ma immaginare il futuro, un futuro dove al centro ci siano di nuovo, e per davvero, i residenti.

*estensore progetto Pass4venice

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