Servizio Idrico: un’infrastruttura industriale, non un’eredità da conservare
Il futuro del servizio idrico non si gioca sulla difesa dello status quo, ma sulla capacità di costruire modelli industriali, trasparenti e regolati. È il momento di scegliere tra gestione evoluta e resistenza al cambiamento

Gestire il Servizio Idrico Integrato non significa più semplicemente “fornire acqua ai cittadini”. Significa garantire investimenti, capacità organizzativa, competenze tecniche e indipendenza decisionale. Significa, in una parola, costruire valore pubblico attraverso un’infrastruttura industriale. In molte aree del Paese, questo salto culturale non è ancora avvenuto.
Le modalità di affidamento del servizio sono tre: affidamento diretto (in house), società mista pubblico-privata o gara pubblica. Quest’ultima, basata su selezione trasparente e criteri di merito, dovrebbe essere – almeno in teoria – la modalità preferita. È quella che garantisce la concorrenza, valorizza le competenze industriali e premia chi è in grado di portare risultati. Eppure, è paradossalmente la meno adottata. Un’anomalia che ha motivazioni precise: il modello in house garantisce stabilità a chi già gestisce, sia sul fronte politico che su quello manageriale. Ma ciò che conserva non è sempre ciò che funziona meglio.
Le modalità in house vengono spesso presentate come scelte “virtuose”, ma nella maggior parte dei casi sono scelte comode. Comode per la politica, che mantiene controllo sulle nomine. Comode per i manager, che non rischiano di essere sostituiti. Comode per le strutture esistenti, che evitano di confrontarsi con il mercato. Il risultato è un sistema che conserva, ma non evolve. Il nodo vero è la dimensione.
Gestire un servizio complesso come quello idrico richiede scala industriale. In molte province italiane, gli ambiti sono ancora troppo piccoli. Una soglia minima realistica si aggira attorno ai 500 milioni di euro di fatturato annuo per il solo servizio idrico. Solo da quella soglia in su si possono realizzare economie di scala, pianificare investimenti strutturati, attrarre competenze, costruire efficienza.
I grandi gruppi lo dimostrano. ACEA, la più piccola tra le multi-utility di riferimento, ha un fatturato attorno ai 4,5 miliardi. IREN è in una posizione intermedia, mentre A2A e HERA superano i 12 miliardi. Sono aziende che gestiscono anche altri servizi – energia, rifiuti, illuminazione – ma mostrano con chiarezza che la dimensione fa la differenza. E che non si può parlare di modernizzazione se si resta ancorati a logiche sub-provinciali. Anche il modello organizzativo conta.
Un servizio industriale deve avere una capogruppo forte, eventualmente quotata, e società operative dedicate a reti, depurazione, manutenzione, laboratori. Serve una rotazione dei dirigenti tra le strutture, per evitare concentrazioni di potere e favorire la crescita delle competenze. Serve una politica retributiva competitiva, che consenta di attrarre i migliori manager e – aspetto tutt’altro che secondario – di garantire la mobilità territoriale per seguire incarichi dove serve più valore. Ma soprattutto, serve autonomia dalla politica locale. In contesti troppo piccoli, le decisioni strategiche vengono inevitabilmente condizionate da interessi esterni.
La quotazione in borsa, in questo scenario, rappresenta molto più di una leva finanziaria: è uno strumento di trasparenza, disciplina e responsabilità. Costringe a misurare i risultati. Premia chi genera valore. Non permette opacità. Oggi, chi difende modelli ristretti, autoreferenziali, condizionabili, non sta tutelando l’interesse collettivo. Il Servizio Idrico Integrato non può più essere gestito con logiche locali o assetti costruiti per evitare la selezione. Richiede una struttura industriale, una governance forte, una visione di lungo periodo. Il modello da perseguire è chiaro: industriale, competitivo, regolato, trasparente, selezionato in base al merito.
* Manager e Advisor nei settori Utility and Manufacturing | Founder di Envisa
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