Ripartire da Mestre, una storia personale

È una città da capire, prima ancora che da vivere. Non comprendere la città e lamentarsi, sempre delle stesse cose,  sembra essere lo sport preferito dei suoi abitanti

David Mazzerelli

Dal quinto piano del Ghetto di Venezia si godevano tramonti incredibili, e le ciminiere di Marghera, che ogni tanto sputavano fiamme, aggiungevano un tocco distopico a un panorama già unico. Sono passati molti anni da quando ho lasciato Prato per trasferirmi in Veneto, e nei primi anni ho avuto il privilegio di vivere nel centro storico di Venezia.

Sulla Terraferma, però, ho scelto di fare impresa, di sposarmi, di far nascere e crescere mia figlia. Uso il verbo "scegliere" perché, quando nasci in un luogo, spesso non decidi, ma vivi di conseguenza. Quando ti sposti, invece, è tutto diverso: vivi il territorio con un certo distacco, quel tanto che basta per apprezzarlo di più e avere una visione abbastanza razionale, utile per comprendere un po’ meglio questi luoghi particolari dove abbiamo il privilegio di vivere.

Mestre non è bella: abbiamo sentito mille volte questa frase, ma cosa significa? Se il confronto è con il centro storico di Treviso, di Verona, di Trento o Trieste, allora ok, Mestre non è bella. Questi discorsi mi ricordano la banalizzazione di chi, di fronte a un quadro di Fontana, dice "Beh, questo lo potevo fare anche io". Primo punto: Mestre non è un luogo banale. È una città da capire, prima ancora che da vivere. Uno sforzo di comprensione a cui di solito si è disponibili in due casi: se si hanno le basi culturali oppure se almeno si ha, non dico vissuto, ma almeno visitato un po' di altri luoghi, in Italia o nel mondo. Eh no, nel computo non conta Mikonos, Cortina o Ibiza.

Il turista e il mestrino, ahinoi, hanno spesso in comune una caratteristica: la scarsa attenzione e la superficialità di giudizio. Il turista, di solito, transita per Mestre per ragioni pratiche, come la comodità e i costi ridotti. Di conseguenza, il suo sguardo è sfuggente: non approfondisce, passa oltre. Molti residenti condividono con i visitatori la medesima superficialità. Non comprendere la città e lamentarsi – di solito sempre delle stesse cose, che non affronteremo qui perché già trattate, e molto bene, da tanti bravi giornalisti su queste pagine – sembra essere lo sport preferito di questa città.

Quando abbasso i finestrini in via Torino e sento odore di curry, la mia prima reazione non è un moto di appetito. Ma nemmeno di disgusto. Dal mio ufficio si vedono le navi da crociera che salpano, e ogni tanto mi scappa di girare un reel; di solito, c’è tutto il tempo per prepararsi, perché le sirene di bordo ti avvertono prima. In via Piave puoi fare una pausa pranzo in alcuni locali e sentirti, a tutti gli effetti, come a Hong Kong. A Forte Marghera il vento salmastro della Laguna ti aiuta a immaginare i soldati austriaci aggirarsi nelle casermette. Per trovare le catene internazionali di hospitality presenti qui devi andare a Milano, a Roma o nelle grandi capitali europee.

 

Mestre ha potenzialità incredibili perché paradossalmente ha un particolare fascino che tutte le altre città del Nordest non hanno: il fascino della transitorietà. Mestre è un luogo che odora di arrivi e di partenze come tutte le città di confine. Riappropriarsi della consapevolezza di questa dimensione sarebbe già un grande punto di ripartenza. La città è stata e deve tornare a essere un hub di connessione con l’Oriente dietro casa e già accoglie un mondo variegato che transita ma non interpreta un ruolo, spesso caricaturale, come accade nel centro storico di Venezia, spesso ridotto purtroppo a un fondale scenografico. Qui ciascuno si porta dietro la propria verità. Il futuro di questo territorio dipende anche dalla capacità di trasformare la complessità in un punto di forza, valorizzando un mix culturale unico.

Viviamo in un luogo molto più internazionale e proiettato al mondo di qualsiasi altro e vi lamentante: vi lamentate perché vorreste una città più sicura e ordinata, e avete ragione. Tuttavia, dimenticate che le città più sicure sono spesso anche quelle con più movida, più attività, più cultura dell’accoglienza e più coraggio nel proporre soluzioni urbanistiche e architettoniche dirompenti. Sono quelle che dicono di Sì alle nuove proposte e non si trincerano dietro polemiche sterili, proteste o comitati.
Smettiamo di credere, con ingenuità, che la città vicina con il suo centro medievale impeccabile, sia l’unico modello ideale e apriamo lo sguardo: là fuori c’è un mondo intero da cui prendere ispirazione.

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