Un “altare” fascista in tabaccheria a Dolo: è polemica

DOLO. C’è il busto di Benito Mussolini, sia in versione integrale che in versione sagomata. La sciarpa con l’aquila romana e la scritta «Boia chi molla». Ancora, c’è il fascio littorio, la maglietta nera con la locuzione dannunziana «Memento audere semper», in realtà ampiamente sdoganata sui social. E poi gli adesivi «Meglio un giorno da leoni che cento anni da pecora».
È un vero e proprio altare fascista in pieno centro quello a cui, incredula, giovedì si è trovata davanti Beatrice. Un altare eretto chissà quanti anni fa. Di fronte agli sguardi delle decine di clienti che, ogni giorno, posavano con indifferenza l’occhio prima sul fascio littorio, poi su una risma di fogli A4. Una vera e propria linea di merchandising, non in vendita privatamente, on-line, da qualche “nostalgico” . No, disponibile alla tabaccheria “da Mario” in via Cairoli a Dolo, in pieno centro. Non è riuscita a tacere Beatrice: «Signora, ma questa è apologia di fascismo».
L’episodio risale a giovedì. La donna era entrata in quella tabaccheria per acquistare un ricarica telefonica, ma la sua attenzione è immediatamente stata attirata da quella specie di “santuario”. «Se ne vada via subito, lei non è qua per fare comizi. I comizi li vada a fare fuori», la risposta della donna, dall’altra parte del bancone. Una furia. «Tutto è durato un paio di minuti. Io non capivo», ricorda Beatrice.
«Ho detto alla signora che non è questione di essere di destra o di sinistra, perché questo è fascismo. C’è una legge, la legge Scelba, che definisce reato l’apologia del fascismo. Le ho detto che questa è la storia, ma lei mi ha indicato la porta, dicendomi che la storia l’aveva studiata più e meglio di me. Ho provato a chiederle ulteriori spiegazioni, le ho chiesto cosa fosse stato per lei il fascismo. Ma lei mi ha letteralmente spinto fuori dalla tabaccheria, mentre il marito mi ha detto che nel loro negozio possono vendere ciò che vogliono. La stessa risposta che mi ha dato, entrando, una cliente, cui mi ero rivolta sperando in un sostegno».
Interpellata al telefono, la tabaccaia non commenta. È sbrigativa e riattacca quasi subito: «Io qui sto lavorando. C’è la coda fuori dalla porta e non ho certo il tempo di stare al telefono con lei», risponde, evidentemente alterata.
Mentre il sindaco Pd di Dolo, Alberto Polo, a cui la ragazza aveva scritto un’e-mail senza ottenere risposta, preferisce sospendere il giudizio: «Spero che questa persona rispetti tutte le regole attualmente in vigore, mi riservo di verificare», il suo commento. L’episodio in realtà ne segue molti altri.
Sono diversi, infatti, i negozianti che, incuranti della legge in vigore, continuano a vendere oggettistica fascista. Celebre il caso, che tanto fece scalpore a maggio, dell’azienda veronese che vendeva mascherine con l’effige di Mussolini e la scritta «Camminare, costruire e, se necessario, combattere e vincere! ». A portare la questione ai (dis)onori della cronaca, all’epoca era stato il senatore del Pd, Vincenzo D’Arienzo. —
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