Omicidio Longo, rito abbreviato il 31

Dolo. Il ragazzo quando accoltellò il padre Moreno durante una lite era incapace di intendere e volere

di Giorgio Cecchetti

DOLO

Prima udienza, ieri pomeriggio, davanti al giudice veneziano Alberto Scaramuzza per Filippo Longo, il ragazzo di Dolo accusati di aver ucciso il padre l’8 aprile dello scorso anno. Il difensore, l’avvocato Sara Scattolin, ha chiesto al magistrato il rito abbreviato, condizionato però alla testimonianza del medico legale padovano Mario Tantalo, il perito del giudice veneziano che ha stabilito la totale incapacità di mente dell’imputato al momento del fatto. Il magistrato ha respinto la richiesta, ma ha fissato l’udienza per processare con rito abbreviato il ragazzo di Dolo per il 31 gennaio prossimo, acquisendo la perizia del medico.

E’ probabile che, di fronte all’esito della perizia psichiatrica, il magistrato - dopo aver ascoltato la requisitoria del pubblico ministero Paola Tonini e l’arringa difensiva (non c’è alcuna parte civile) -dichiari il non doversi procedere per totale incapacità di intendere e volere di Longo, spedendolo in un luogo di cura per alcuni anni, almeno fino a che non sarà giudicato guarito e non pericoloso dai medici che lo avranno avuto in cura. Il pm Tonini aveva chiesto e ottenuto l'ordinanza di custodia cautelare, quindi aveva firmato la richiesta di rinvio a giudizio per il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela. I fatti sono dell'8 aprile 2011. Il giovane aveva accoltellato il padre durante una lite per questioni di soldi (voleva andarsene di casa, ma non ne aveva e li chiedeva al padre), ma i primi risultati dell'autopsia avevano stabilito che il 55enne Moreno Longo, nonostante i quindici colpi inferti con una lama da cucina, era morto perché non era più riuscito a respirare a causa del cassettone che il figlio gli aveva rovesciato addosso dopo averlo aggredito con il coltello. Il ragazzo aveva confessato subito e al giudice che lo interrogava aveva anche aggiunto che prima di aggredire il padre più volte aveva pensato al suicidio perché la vita in casa era diventata un inferno. E dopo quattro giorni trascorsi in una cella a Santa Maria Maggiore, Filippo aveva tentato di uccidersi. Si era tagliato le vene dei polsi, ma prima un detenuto si era accorto del sangue che gocciolava dalla sua branda, quindi un agente della Polizia penitenziaria lo aveva trasferito subito in infermeria, dove c'era già il medico (resta due ore al giorno), che gli aveva applicato i punti, bloccando l'emorragia e salvandogli la vita.

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