Sequestrato e ferito alla gamba, condannati i quattro aguzzini
Pene pesanti decise in Corte d’Assise per tre uomini e una donna che a Mestre avevano segregato un giovane accusato di aver rubato dell’hashish da una abitazione

L’hanno sequestrato in casa per una notte e, per impedire che scappasse, l’hanno ferito a una gamba colpendolo con la lama di un coltello. Poi l’hanno picchiato e minacciato di morte: erano convinti che fosse lui ad aver rubato dall’abitazione un “panetto” di hashish, lo volevano indietro e allo stesso tempo vendicarsi.
I fatti risalgono alla notte de 22 luglio del 2019 e si sono svolti in un appartamento in via Monte Nero a Mestre: la vittima del sequestro (un egiziano, oggi 35enne) era riuscita a scappare solo alle 14.30 del giorno dopo, approfittando che i suoi “sequestratori” avessero preso sono. Scalzo e ferito era passato attraverso una finestra dell’appartamento.
Con questo quadro accusatorio - contestato dalle difese - il pubblico ministero della Distrettuale antimafia Stefano Buccini ha portato davanti alla Corte d’Assise quattro persone. E lunedì pomeriggio sono arrivate quattro pesanti condanne. Dopo una lunga camera di consiglio, la Corte presieduta dal giudice Stefano Manduzio (a latere la giudice Francesca Zancan), con la giuria popolare, hanno condannato il tunisino Fabi Ben Hmed, 40 anni (difeso dall’avvocato Marisa Biasibetti) a 25 anni e 6 mesi di reclusione; la moglie 38enne moldava Iraida Josan (difesa dall’avvocato roberto Baglioni) a 11 anni: per lei il pubblico ministero Buccini aveva chiesto l’assoluzione. Ancora, 25 anni e 4 mesi di reclusione la pena per il moldavo 39enne Sergiu Zgloboci (difeso dall’avvocata Giuseppina Grofcich) e, infine, 17 anni di reclusione per il cagliaritano Andrea Orrù (difeso dall’avvocata Elena Penzo).
La Corte d’Assise è andata ben oltre le richieste della pubblica accusa: per Zglaboci e Orrù il pm Buccini aveva chiesto l’assoluzione per il rapimento e la condanna a 2 anni per le lesioni.
Tutti risiedevano a Mestre da tempo.
Si tratta, comunque, di una sentenza di primo grado. Ora le difese attenderanno il deposito delle motivazioni e poi potranno ricorrere in appello.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, una quinta persona avrebbe partecipato al sequestro, ma è rimasta ignota.
La vittima sarebbe stata attirata nell’appartamento con una scusa ed era giunta alle 23: ed era iniziata una notte da incubo, per lui. Così la ricostruisce il capo di imputazione: «Con violenza e minacce, nonostante avesse chiesto più volte di uscire e di poter andare all’ospedale, veniva costretto a restare dentro l’appartamento». «In particolare veniva accusato da Ben Hmed e da un soggetto rimasto ignoto», prosegue il capo di imputazione, «di aver commesso un furto di sostanza stupefacente, subito Ben Hmed lo colpiva con un coltello da cucina nella parte esterna della coscia sinistra, così da impedirgli di muoversi».
L’uomo cadeva a terra, poi preso di peso e messo a sedere su una sedia da cucina: a quel punto - secondo la ricostruzione dell’accusa, contestata dalle difese - erano iniziate le botte, mentre l’uomo rimasto sconosciuto avrebbe minacciato la vittima con un coltello. A quel punto sarebbe rientrata in casa la moglie, Iraida Josan, che avrebbe dichiarato che l’uomo meritava di essere ucciso, dopo il furto della droga (lo ricordiamo, il pm per lei aveva chiesto l’assoluzione). Infine nell’appartamento arrivavano anche Zglaboci e Orrù, tra minacce di impiccarlo e di dargli fuoco, se non avesse restituito la droga rubata.
Botte e minacce sarebbe proseguite fino alle 4 di notte, quando tutti avevano preso sonno: uno steso davanti alla porta della stanza dove l’uomo era trattenuto. Scalzo e ferito era però riuscito a liberarsi e a scappare il giorno dopo, passando per la finestra della cucina.
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