L’INNO ALLA VITA DI LORIS DIVENTA UN CONTROCANTO
È un canto e insieme un controcanto alla vita il memoriale di Loris Bertocco, come lo è stata la sua esistenza tutta.Chi lo ha conosciuto ragazzo, prima dell’incidente, ricorda un giovane ribelle...

È un canto e insieme un controcanto alla vita il memoriale di Loris Bertocco, come lo è stata la sua esistenza tutta.
Chi lo ha conosciuto ragazzo, prima dell’incidente, ricorda un giovane ribelle alle ingiustizie, immerso nella vita, nelle amicizie, curioso di tutto, delle occasioni culturali e degli incontri umani, generoso, rompiscatole per amore della verità e dell’impegno a far bene le cose, quelle necessarie e quelle in cui si crede. Così, miracolosamente, è rimasto anche dopo quel maledetto 30 marzo del 1977, quando un’auto l’ha investito mentre andava ad aprire la sede in cui aveva organizzato dei corsi di musica per ragazzi. La musica ha sempre riempito la sua vita e lui ne ha arricchito le ore, le sere, dei tanti ascoltatori delle trasmissioni che per decenni ha gestito nelle radio libere venete.
Canto alla vita sono le pagine del memoriale dedicate all’amore e all’amicizia, sentimenti che sapeva suscitare e coltivare. E lo erano il suo impegno per l’ambiente e per la pace e la sua militanza in favore delle persone disabili e fragili, il cui diritto a una vita indipendente proclamava con tutto sé stesso.
Naturalmente le parole che ci lascia sono, appunto, anche un controcanto. In modo scabro, oggettivo e perciò sconvolgente, ci portano nell’esperienza quotidiana della negazione di quei diritti e di quella vita piena e dignitosa. Una negazione contrastata solo da poveri strumenti istituzionali e soprattutto dalla personale tenacia e dall’affettuosa, instancabile cura delle persone più vicine, un’esperienza che ha riguardato Loris e che tuttora coinvolge troppe persone.
Loris è stato vittima della fatalità e dell’imprudenza di chi lo ha investito, dapprima, e poi di un nuovo incidente con le stampelle e ancora di un trattamento sbagliato alle vertebre, e infine di un problema genetico, che lo ho privato anche della vista. Ma il suo aggravarsi progressivo non è stato bilanciato da un adeguato aumento delle risorse disponibili per l’assistenza. L’orizzonte della “vita indipendente” per cui si batte da tempo una rete di movimenti, gruppi, famiglie, persone che, sul modello di quanto realizzato in alcuni paesi del nord Europa, chiedono la creazione di un fondo adeguato per sostenere chi si trovi in stato di grave o gravissima disabilità, questo orizzonte necessario e vitale si è allontanato sempre di più per Loris, essendogli stato negato l’accesso a contributi ulteriori, rispetto alla pensione di invalidità. La cosa stride, anzi indigna, soprattutto nei giorni in cui assistiamo ai rinvii a giudizio per il presunto spreco e la presunta odiosa speculazione sui fondi regionali per i disabili (3,4 milioni di euro) per l’affare Ca’ Robinia. Avrebbe vissuto meglio, avrebbe sofferto di meno, Loris, se avesse avuto quell’aiuto. Ma infine, come ha detto, temendo di trovarsi a vegetare in uno stato insopportabile, avrebbe deciso lo stesso per la morte volontaria e assistita. Avrebbe solo voluto farlo in Italia, nel suo Paese. Un Paese dal quale si va via sempre più spesso per studiare, lavorare, vivere meglio e, infine, anche per morire dignitosamente e senza soffrire.
Approvate la legge sul testamento biologico e sul “fine vita”, dice Loris, nelle penultime parole del suo canto e controcanto, prima di dedicare le parole estreme, ancora una volta, a celebrare l’amore, l’amicizia e la vita.
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