Crescono le assunzioni di bengalesi nella ristorazione, ecco come cambia il lavoro a Venezia

I dati dell’Ufficio Studi della Cisl. A Venezia e provincia sono aumentate le assunzioni di asiatici e in particolare di cittadini bengalesi nell’ambito della ristorazione. Le comunità tendono a specializzarsi in uno specifico lavoro, rischiando l’isolamento sociale

Dal 2008 al 2024 i lavoratori bengalesi a Venezia sono passati da 2mila a 9mila
Dal 2008 al 2024 i lavoratori bengalesi a Venezia sono passati da 2mila a 9mila

A Venezia e provincia continuano a crescere le assunzioni di lavoratori stranieri. Lo spiegano i dati di una ricerca dell’Ufficio Studi della Cisl Venezia, che analizza il cambiamento della composizione sociale del territorio, focalizzandosi sui settori trainanti del lavoro e sulla distribuzione dell

e comunità straniere dei lavoratori.

Lavoratori stranieri a Venezia: cosa dicono i dati

Dal 2008 al 2024, se si considera solo il Comune di Venezia, le assunzioni di cittadini benglaesi, che trovano occupazione soprattutto nel settore della ristorazione, sono passate da circa 2mila a quasi 9mila, con un aumento significativo nel periodo post pandemico. Anche i lavoratori cinesi rappresentano una risorsa importante per il territorio, in particolare nel mondo della ristorazione. ll 40% dei cinesi lavora infatti in questo settore, mentre se si considera solo Venezia, la quota sale al 60%.

Non è raro che le diverse comunità si specializzino in un settore specifico: nel veneziano il 45% degli albanesi lavora nel comparto turistico, mentre il 46% degli albanesi in quello alberghiero. 

I kosovari, invece, trovano occupazione soprattutto nel settore delle costruzioni, dove superano il 46%. Numeri non casuali per il referente del lavoro della Cisl Venezia Marco De Favari, per cui i dati «rappresentano riflesso di una dinamica economica profonda, per cui ogni settore attira manodopera diversa, e finisce per plasmare anche la composizione sociale del territorio».

Marco De Favari, referente del mercato del lavoro della Cisl Venezia
Marco De Favari, referente del mercato del lavoro della Cisl Venezia

La specializzazione dei lavoratori stranieri

Agricoltura e manifattura sono oggi i settori meno attrattivi tra gli italiani e, anche per questo, continuano ad attrarre lavoratori esteri. Nel caso dell’agricoltura più della metà dei lavoratori è straniera.

Interessante il caso del turismo: la percentuale di lavoratori stranieri è minore (si attesta al 32%), ma alcune nazionalità sono fortemente concentrate.

L’economia locale, quindi, non solo accoglie l’immigrazione, ma la indirizza, la seleziona e la specializza. La ristorazione, a Venezia, è diventato un canale d’ingresso privilegiato per bengalesi, cinesi e albanesi, tanto che le attività vengono spesso avviate in proprio e portate avanti di generazione in generazione o comunque attraverso le reti familiari. 

Tale fenomeno porta le comunità ad aggregarsi attorno ai settori economici, creando quartieri più o meno omogenei dal punto vista culturale. È accaduto a Marghera e Riviera del Brenta, comuni che hanno visto crescere quartieri multietnici con il mutare delle opportunità offerte dal territorio.

Una circostanza che, secondo il segretario generale della Cisl Venezia Michele Zanocco «ha pro e contro: da un lato reti di mutuo aiuto, dall’altro il rischio di isolamento sociale».

Michele Zanocco, Segretario generale Cisl Venezia
Michele Zanocco, Segretario generale Cisl Venezia

I rischi delle comunità specializzate

Il contributo degli immigrati al sistema produttivo è quindi «indiscutibile» come sottolinea Zanocco, basti pensare che i lavoratori stranieri partecipano «a circa il 12 per cento del Pil» della provincia di Venezia. 

Tuttavia l’elevata specializzazione delle comunità straniere comporta rischi da non sottovalutare. Spesso infatti i settori in cui si concentrano alte percentuali di determinate comunità sono i più fragili e precari, basti pensare alla ristorazione o alla logistica.

«Le comunità che dipendono quasi esclusivamente da un settore – prosegue Zanocco – rischiano di subire le fluttuazioni del mercato, senza alternative. L’integrazione sociale fatica a stare al passo: scuole, trasporti, edilizia popolare, servizi sociali sono spesso sotto pressione nelle aree a maggiore concentrazione migratoria. In assenza di politiche pubbliche strutturate, si rischia di creare sacche di lavoro povero, mobilità sociale bloccata e nuove disuguaglianze».

Poiché l’immigrazione è un fattore interno al sistema locale, le soluzioni che mirano a tutelare i lavoratori devono essere ricercate all’interno del sistema stesso. Le scelte produttive andrebbero quindi calibrate per favorire l’integrazione dei nuovi lavoratori stranieri.

 

Più in generale non bisogna perdere di vista «l’istruzione e il capitale umano. Le università del territorio rappresentano un presidio strategico di innovazione e conoscenza, ma troppo spesso i giovani talenti che ne escono non trovano sbocchi adeguati e scelgono di emigrare verso aree più attrattive. Per trattenere competenze e costruire un futuro economico solido, servono politiche pubbliche e investimenti privati coordinati nei settori industriale, tecnologico, scientifico e informatico».

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