La sentenza del Tar «Troppi fosfogessi quei terreni vanno messi in sicurezza»

La tanto discussa area dei Pili (di oltre 40 ettari) è sotto gli occhi di tutti coloro che arrivano o lasciano Venezia, ma pochi si rendono conto del fato che si tratta di una delle aree più contaminate da residui tossici della laguna. Si tratta dell’area situata all’inizio del ponte della Libertà, tra via dei Petroli e la bioraffineria Eni, in terreni ottenuti nel secondo dopoguerra interrando quella parte della laguna con un milione di metri cubi di rifiuti industriali e spazzatura veneziana ricoperta da altri rifiuti, per uno spessore complessivo di circa 4 metri. Nel 1998 sono stati riscontrati livelli anomali di radioattività ed emissione di gas radon, come risulta dalla caratterizzazione discussa in conferenza dei servizi per gli interventi a Porto Marghera già nel 2000. Tant’è che l’allora sindaco Massimo Cacciari ordinò allo Stato, proprietario dell’area ex Montedison passata al demanio, di recintarla e bonificarla. Nel 2011 uno studio con i primi carotaggi del sottosuolo del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova confermò la presenza nel sottosuolo dei Pili di fosfogessi radioattivi all’uranio 238, contenuti negli scarti delle industrie chimiche di Porto Marghera negli anni Settanta, interrati ai Pili insieme alle vasche di decantazione in metallo che li contenevano.

In proposito la sentenza dei giorni scorsi del Tar ribadisce la «necessità della messa in sicurezza d’emergenza qualora fossero state riscontrate situazioni emergenziali (il superamento, per le acque di falda e per i suoli, più di 10 volte i limiti fissati dal codice ambientale), in ragione della loro gravità e del loro pericolo intrinseco che devono essere fronteggiati con immediatezza e con assoluta celerità».

Alla fine dell’anno scorso il Tribunale amministrativo regionale - chiamato in causa da un ricorso della società Porta di Venezia che fa capo al sindaco Luigi Brugnaro contro i solleciti del ministero dell’Ambiente per la messa in sicurezza ambientale e sanitaria dell’area dei Pili - che ha confermato, invece, l’obbligo di prevenire e mettere in sicurezza ambientale e sanitaria i terreni più contaminati, cosa che da anni Porta di Venezia si rifiuta di fare. La sentenza del Tar ha giudicato «parzialmente fondato» solo il primo punto del ricorso, riconoscendo che «la società ricorrente non è responsabile dell’inquinamento dell’area ma, in violazione del principio europeo “chi inquina paga”, è stata ingiustamente obbligata dalle Conferenze dei Servizi del 2006 e del 2010, alla «presentazione del piano di caratterizzazione dell’area, di trasmissione delle analisi di rischio e la successiva presentazione del piano di bonifica». L’obbligo è stato così annullato dal verbale delle due conferenze di servizio, ma è rimasto l’obbligo «per il proprietario dell’area» di «adottare misure di prevenire e messa in sicurezza ambientale» per i terreni più contaminati. Il Tar ha respinto, di conseguenza, la tesi dei ricorrente che sosteneva di pagare i costi della messa in sicurezza con i risarcimenti pagati da Montedison (ex proprietaria dell’area) nel 2001, nell’ambito di un altro procedimento penale, il processo per i morti e l’inquinamento del Petrolchimico. —

G.Fav.

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