«Così siamo scappati da quel Paese»

Enzo Pavanello oggi con le foto della sua gioventù in Libia
JESOLO.
Dalla Libia giungono notizie che colpiscono chi, all'epoca della Tripolitania, laggiù ci ha trascorso la giovinezza: oltre vent'anni nelle colonie italiane e il rientro poco prima dell'espulsione dei nostri connazionali. Enzo Pavanello oggi a 74 anni, è pensionato e vive nella sua Jesolo, luogo dal quale partì con i genitori diretto nella periferia di Tripoli nel 1939 quando aveva solo due anni. «C'erano tanti veneti, ma soprattutto pugliesi e siciliani - racconta - Alla mia famiglia erano stati assegnati dei poderi nel Villaggio Tazzoli a circa 90 chilometri da Tripoli, verso il deserto. Sono cresciuto lì, in un periodo nel quale l'influsso inglese sulla monarchia locale rendeva ancora pacifica la convivenza con la gente del posto. Lavoravo la terra e sbrigavo le faccende nel podere, una vita tranquilla coi miei genitori». Sulla fine del 1957 ci fu un cambio, col trasferimento al Villaggio Corradini, sempre nella zona di Tripoli ma più vicino al mare. «Tripoli era una bella città, multietnica, nella quale decisi di trascorrere gli ultimi quattro, dei ventidue anni vissuti in Libia - prosegue Pavanello - Facevo l'autista e si stava bene. Poi, però, i libici hanno cominciato a guardare anche noi italiani in cagnesco. Si percepiva una certa tensione, tanto che con la famiglia, appena ottenuta la proprietà dei poderi, decidemmo di vendere tutto a un abitante del posto e rientrare in Italia. Era il 1961 e ci andò anche bene, perchè i miei zii, anche loro di Jesolo, rimasero fino alla fine, venendo coinvolti nella rivolta guidata da Gheddafi e quindi furono espulsi in tutta fretta dal Paese». Scattò la confisca dei beni e persero tutto, come del resto accadde a migliaia di italiani. Mentre Pavanello era tornato ad abitare a Jesolo e aveva già trovato lavoro come autista Atvo, gli zii furono costretti a trasferirsi a Torino per cercare di rifarsi una vita partendo da zero. «In questo momento la vedo grigia - osserva - Il mondo arabo è stato sfruttato troppo dai governanti. In Libia prima c'è stato un monarca fantoccio degli inglesi, poi è arrivata la dittatura di Gheddafi. Noi italiani abbiamo almeno portato un po' di organizzazione agricola. Comunque era inevitabile che accadesse una rivolta come questa. Seguo le vicende di questi giorni con attenzione, ovvio. Contatti con quel paese non ne ho più avuti, ma mi sarebbe piaciuto tornarci per un viaggio. Il problema erano i troppi permessi da chiedere: alla fine vi ho rinunciato. Ora tutto dipende dai libici, ma temo che questa situazione si possa ripercuotere sull'Europa con un forte aumento dell'immigrazione».
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