La gomitata al portiere costa 51 mila euro

Campionato di calcio di Eccellenza 1996. A pochi minuti dal fischio finale Davide Favotto, attaccante della Nuova Salzano, colpisce Andrea Dall’Armellina, portiere dello Jesolo, con una gomitata al fianco.
Un fallo che fa storia, perché per la prima volta viene punito non solo dall’arbitro, ma anche dalla giustizia ordinaria, con una condanna a otto mesi di reclusione per Davide Favotto, successivamente caduta in prescrizione.
Ora a 23 anni di distanza la Corte di Cassazione ha messo la parola fine anche sulla causa civile: Favotto dovrà risarcire con 51.316 euro Dall’Armellina. Quel fallo, seppur secondo i testimoni fosse intenzionale, non era sembrato inizialmente nulla di diverso da ciò che si vede spesso sui campi di calcio. Ma proprio per quella gomitata Dall’Armellina, portiere di San Donà in forza allo Jesolo, dovette essere sottoposto ad un intervento chirurgico, e perse la milza.
Un incidente che gli costò la carriera: per due anni non poté più giocare e perse anche l’occasione di militare nella serie superiore a cui era approdato il San Donà, proprietario all’epoca del cartellino del portiere: per un ragazzo appassionato di calcio la fine di un sogno.
Favotto, come detto, in primo grado venne condannato a otto mesi di reclusione per lesioni aggravate, pena successivamente sospesa e infine caduta in prescrizione. Ma fu una sentenza che scosse tutto il mondo del calcio, perché mai fino a quel momento un fallo in campo aveva avuto conseguenze penali per un calciatore. Favotto venne anche condannato a un risarcimento di 20 milioni per Dall’Armellina, poi aumentato a 51.316 euro dalla Corte d’Appello di Venezia.
L’ex calciatore trevigiano, assistito dai legali Lorenzo Zanella e Roberto Rota, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione per vedere stralciato o quanto meno ricalcolato quel risarcimento. Ma niente da fare, la Corte suprema l’ha confermato.
Le osservazioni di Favotto sono state cassate perché più orientate a rivedere nel merito la sentenza – compito che non spetta alla Cassazione – e non la legittimità della stessa. In particolare per quantificare il risarcimento, i giudici avevano considerato oltre al danno fisico quello biologico, in quanto “il calciatore ha dovuto saltare ben due stagioni e, rientrato in attività, non ha più potuto riprendere la categoria di appartenenza dovendosi accontentare di categorie inferiori e meno soddisfacenti”. I giudici hanno inoltre escluso un errore di attribuzione: “la giustizia interna delle federazioni” è limitata alle “vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico” e non al divieto di ledere previsto dal codice civile”.
Una sentenza dunque che torna a scuotere il mondo del calcio; in quanto di fronte a falli di gioco volontari apre le porte dei tribunali. —
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