Il paralimpico Matteo dei Rossi: «La scherma mi porta le medaglie, ma sogno di volare»

VENEZIA. Il sogno di volare lo caratterizza da anni ma, intanto, si pone come obiettivo la possibilità di partecipare alle Paralimpiadi. Non saranno quelle di Tokyo in settembre, ma il mirino è puntato sul 2024. Matteo Dei Rossi, classe 1995, da Spinea vuole fare le cose in grande.
Di sogni ne ha tanti, ha superato la disabilità al braccio destro con lo sport e nel lavoro, ma non si vuole fermare, l'asticella la mantiene sempre più in alto, e vuole regalarsi anche un paio di ali.
Partiamo dallo sport e dalla scherma.
«L’ho seguita in televisione fin da piccolo e da lì è iniziato tutto. Mi emozionava, volevo provarla, poi mia madre e mia zia mi portarono a vedere una gara al CS Mestre. La settimana dopo andai a fare un allenamento di prova».

Però parliamo di scherma olimpica, in piedi.
«Ho iniziato con Maurizio Galvan e la spada. Una decina di anni fa la scherma paralimpica era poco pubblicizzata, e non avendo problemi agli arti inferiori è stato il primo passo. Poi dal 2013 iniziai con la paralimpica in vari passaggi tra Mestre e la Scherma Treviso».
Qual è il problema che ha al braccio?
«Ho subito una paralisi ostetrica al braccio destro. Con il parto naturale venne strappata la terminazione nervosa del plesso brachiale tra la vertebra C3 e la T1. Fin da piccolo mi sono adattato a usare il braccio sinistro, e mia madre mi faceva riabilitazione anche di notte».

Cosa cambia passando alla scherma in carrozzina?
«È cambiato tutto rispetto a quella in piedi. Non usi le gambe, sei seduto ed è tutta un’altra tipologia di approccio mentale alla disciplina. Bisogna aprire la mente e ampliare la propria visione di questo sport. Nel cambio da in piedi a seduti la difficoltà è stata solo una questione di imprinting, ragionare che il busto equivale alle proprie gambe».
Che maestri ha avuto?
«A Mestre ho lavorato con Matteo Zennaro e Michele Venturini, a Treviso con Flavio Puccini e Francesca D’Alessandri tra fioretto e spada. Da alcuni mesi all'Officina della Scherma sono seguito da Vittorio Carrara, in accordo con Treviso, e sto affinando anche la sciabola».
Com'è l'ambiente della paralimpica?
«Le gare vengono organizzate negli alberghi e non più in palasport, per agevolare le persone con diverse disabilità. Solo ai campionati italiani assoluti si è in impianti sportivi».

I risultati ci sono...
«A Napoli è arrivato subito il primo podio vero, ma in Coppa del Mondo con la squadra di spada, il bronzo a Eger (Ungheria) è stata una grande gioia. In Italia con Emanuele Lambertini e Matteo Betti abbiamo iniziato grandi battaglie. Ora si è aggiunto Edoardo Giordan e ce la giochiamo sempre noi quattro. In autunno a Busto Arsizio ho vinto la prima gara nazionale di sciabola, bene così, anche perché vorrei lasciare il fioretto che non mi dà più le stesse emozioni».
All'Officina ha trovato un valido partner di allenamenti in Nicola D'Ambra.
«È stato importantissimo allenarmi e confrontarmi con lui e con il maestro Carrara per crescere molto velocemente».
Obiettivi?
«Portare a casa altre medaglie dagli Assoluti di Napoli, poi puntare al quadriennio olimpico per il 2024».
E poi il sogno di volare.
«La passione per il volo me l’ha trasmessa mio padre, che ha il brevetto. Con il problema al braccio ho poi viaggiato molto tra la Francia e Roma per le visite mediche, e questo desiderio è cresciuto di viaggio in viaggio. A cinque anni ho iniziato a usare i simulatori di volo ed è servito molto».
A Thiene le prime lezioni.
«Con l'istruttore Maron ho volato le prime volte con un Cessna e sto continuando».
Ma è in attesa del via libera dell'Ente nazionale per l'aviazione civile.
«Ho fatto nell'ottobre scorso un volo di verifica con un ispettore, e sto aspettando per capire se potrò fare il brevetto per gli aerei da diporto come il Cessna, o per gli ultraleggeri».
Volare e tirare di scherma, attività diverse tra loro.
«Completamente distaccate. La scherma è una disciplina di combattimento dove trovo uno sfogo per lo stress accumulato, mentre il volo è una liberazione, come se non avessi nessun problema, come se staccassi la spina da tutto».
Nella scherma, tuttavia, un disabile può tirare con un normodotato.
«Non ci sono barriere e si condividono due facce diverse di questo sport. Chi fa scherma in piedi, lì può capire i disagi di alcune persone. Ci si mette alla stessa misura, quindi anche a livello culturale è importantissimo. Una cosa che tutti dovrebbero provare, specie chi fa scherma in piedi, perché sensibilizza quando entrambi si è seduti in sedia a rotelle».
Consiglia la scherma a chi ha una disabilità?
«Certo, è un modo per non stare chiuso in casa e per ricominciare davvero una nuova vita».
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