«Il mio giavellotto è come un algoritmo In Sudafrica per studiare i finlandesi»

È volato in Sud Africa per carpire qualche segreto ai campioni finlandesi, considerato che nel Nord Europa il giavellotto vale come il calcio in Italia. E ti ricorda pure che la sua specialità ha una «base scientifica», tanto da suggerire letture inusuali come “Algoritmi nella vita quotidiana”. Mauro Fraresso, 27enne vedelaghese, vanta la seconda migliore misura di sempre di un italiano e intende spingere l’amato attrezzo verso nuovi traguardi. Traduci: l’Olimpiade di Tokyo.
Fraresso, la vostra fase-2 è scattata il 4 maggio. L’emozione di riabbracciare un campo di gara?
«C'è, perché a Vedelago ho potuto tirare di nuovo l’amato giavellotto. Ma è un’emozione fino a un certo punto. Un conto è l’allenamento, un altro la gara. E, nel periodo del lockdown, non sono rimasto con le mani in mano».
Che ha fatto?
«Abito a Cavasagra, sono circondato da campi. Ho un giardino da 75 mq, lo spazio per esercitarmi non manca. Il guaio è che ci sono pure i sassi, tanto che ho rotto una scarpa... I giavellotti, con quello che costano, non mi azzardo a tirarli. Così ho compensato con palline di ferro, da un paio di chili. Non bastasse, posso contare su un barco, di solito adibito a ricovero attrezzi: l’ho trasformato in palestra. Ci sono i bilancieri, ho lavorato sulla forza».
Quest’anno aveva un obiettivo chiamato Olimpiade: come aveva impostato la preparazione?
«Mi sono trasferito un mese in Sud Africa, dal 26 gennaio al 23 febbraio. A Poichefstroom, a 1.500 metri d’altitudine. Sono partito da solo. Poi, non perché ci fossimo messi d’accordo, si sono aggregati due compagni di Nazionale. Ma lì sono andato per studiare i finlandesi, che d’inverno fanno base in Sud Africa. Un camp che è il top per chi pratica la mia specialità. Volevo prendere confidenza con i metodi di Petteri Piranen, allenatore notissimo nel giavellotto. Ha portato alla ribalta, fra gli altri, il keniano Julius Yego, campione del mondo 2015. Mi ha seguito, in quei giorni, nella tecnica. E qualcosa ho cercato d’imparare dai suoi allievi. Speriamo di aver portato a casa qualche segreto».
Un’esperienza che la dice lunga sulle sue ambizioni: ha vissuto male il rinvio dei Giochi?
«Alla fine, non così tanto. Posso sfruttare questa stagione come banco di prova. Al di là del Sud Africa, in inverno ho cambiato tanto nella preparazione. Puntando sulla quantità e intensità. Sperando ci siano gare da settembre, potrò sperimentare i benefici della nuova metodologia. Un anno per fare le prove generali. Per testarmi e capire come risponde il fisico».
L’Olimpiade?
«Il sogno di qualsiasi atleta. Ho già 27 anni, lo stage in Sud Africa è stato un investimento su me stesso. Anche se, rispetto alle edizioni precedenti, i minimi si sono alzati tantissimo. Quello “A” per Tokyo è 85 metri, significherebbe far crollare il record italiano di 84,60. E crescere un botto rispetto al personale di 81,79, centrato nel 2019: la seconda migliore misura di sempre di un italiano. Devo migliorare: se però già l’anno scorso ho fatto quasi 82 metri, con la svolta nell’allenamento di questi mesi so che posso fare di più. I presupposti per un ulteriore salto di qualità ci sono tutti. Ma per avere un feedback vero, servirà la competizione. Mi auguro ci si possa tornare a sfidare a settembre. Pensate: nel mio caso, vorrebbe dire disputare di nuovo una gara dopo un anno».
Il primo passo avanti l’ha compiuto nel 2019: maturazione un po’ tardiva?
«L’asticella volevo alzarla già da qualche anno. Ma c’era sempre un problema a sbarrarmi la strada: mi torna alla mente l’infortunio del 2016, che mi ha imposto l’operazione alla spalla destra. Ho perso tutta la stagione successiva».
Peraltro non ha iniziato subito a fare sport a tempo pieno.
«Dopo il diploma di perito informatico, ho lavorato per un anno in un’azienda. Otto ore al giorno in ufficio, il resto per allenarmi. Ma, in verità, cullavo già un obiettivo importante: far parte di un gruppo sportivo militare. Ci sono riuscito nel 2014, entrando nelle Fiamme Gialle».
Perché proprio il giavellotto?
«Avevo iniziato a fare atletica, perché mi piaceva il salto in alto. Da piccolo, provi un po' di tutto. E con il vortex, l'attrezzo propedeutico, mi trovavo bene. Non siamo la Finlandia. Non abbiamo la tradizione del Nord Europa, qui si è più votati alla velocità. Ma amo la sfida».
L’idolo?
«Non ne ho, ritengo ciascuno sia una singolarità e difficilmente imitabile... Il primo campione, ad ogni modo, che ho cercato su YouTube è stato Tero Pitkämäki, iridato a Osaka 2007. Manco a dirlo, finlandese».
Allenamenti a parte, come ha passato la quarantena?
«Leggendo. Mi prende l’ambito scientifico. Ho divorato “Algoritmi nella vita quotidiana” di Brian Christian e Tom Griffiths, ma anche “Statistica nuda” di Charles Wheelan. La matematica applicata alla vita di tutti i giorni. Sì, lo ammetto, è un genere inusuale. Ma ti spiegano che le priorità possono essere legate a un algoritmo. Interessante, concetto che ben si sposa con il giavellotto. Che, fra misure e curvature, una base scientifica ce l'ha».
Fidanzato?
«Sì, da sette anni. Si chiama Martina, fa la commessa in un negozio di abbigliamento, nulla a che fare con l’atletica. Ed è brava ad aspettarmi. Quest’inverno, fra Sud Africa e sedute in caserma a Castelporziano, sono stato via quattro mesi». —
Mattia Toffoletto
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