Sfruttamento della manodopera straniera: «Così il “metodo Fincantieri” è stato scoperchiato dalle indagini»
Lavoratori pagati anche cinque euro all’ora, niente straordinari o festivi o notturni nelle aziende in subappalto. Le inchieste hanno prodotto diversi filoni che stanno per arrivare a sentenza

Il pubblico ministero Giorgio Gava, nel capo di imputazione, lo chiama “il Metodo Fincantieri”: sfruttamento della manodopera straniera da parte delle ditte in subappalto nella costruzione delle navi (con operai pronti a sopportare “stipendi” da 5-7 euro all’ora, niente straordinari o festivi, né ferie pagate pur di avere un lavoro e il permesso di soggiorno), con a monte (però) assegnazioni di lavori al massimo ribasso da parte dei dirigenti dell’azienda pubblica, con corrispettivi ulteriormente “spolpati” nei passaggi tra i vincitori dei lavori e la filiera dei subappaltatori.
Ad innescare la catena di sfruttamento sarebbero così stati - per la Procura - anche i budget pubblici ridotti all’osso, sottocosto. O si accettava o si veniva tagliati fuori.
Così dalle prime inchieste che hanno portato alla condanna con rito abbreviato - e patteggiamenti - di singoli imprenditori bengalesi e albanesi, seguendo le indagini della Guardia di finanza, la Procura ha via via risalito la catena di comando e ora chiede di poter giudicare per «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» anche dieci dirigenti e quadri di Fincantieri. Alcuni vertici e altri cinque dipendenti sono poi accusati di«corruzione tra privati» e di aver ottenuto dalle imprese “stipendi” mensili fino a mille euro, vacanze, orologi di lusso per concedere loro i lavori.
Il tutto - sostiene, infine, la Procura - legato al fatto che i dirigenti indagati, davano «attuazione a precise linee strategiche di politica aziendale della Fincantieri Spa (improntate all’esternalizzazione della quasi totalità delle lavorazioni e al massimo risparmio sul costo del lavoro), imponendo nei contratti di appalto corrispettivi non commisurati alle ore necessarie per le lavorazioni, con valutazioni irrealistiche, prezzi economicamente insostenibili».
E così anche la stessa azienda di Stato si ritrova ad essere citata nell’ultimo procedimento in corso, per rispondere di illecito amministrativo per il comportamento dei propri dipendenti - per la Procura - «commesso anche (sebbene non esclusivamente) nell’interesse e a vantaggio della società Fincantieri Spa».
Libero mercato o sfruttamento? Per il pm, «Fincantieri “strangola” le ditte».
Si tratta della versione dell’accusa, non di sentenze, sia chiaro: in questi mesi la giudice per le udienze preliminari Maria Rosa Barbieri è chiamata a decidere se accogliere o respingere le richieste avanzate dal pm Gava per andare a processo. La prossima udienza è in calendario il 24 maggio: in tutto, quest’ultimo filone, vede imputate 33 persone (compresi imprenditori bengalesi dei subappalti) e 13 società. E a sua volta Fincantieri si è costituita parte civile contro due suoi dipendenti, licenziati.
Le sentenze - condanne o assoluzioni - arriveranno poi con i processi.
Tutto ruota - ormai è noto - attorno alla “paga globale”, il meccanismo messo a punto (per sua ammissione) dal consulente fiscale Angelo Di Corrado, che ha poi dato un contribuito importante alle indagini, raccontando tutto il sistema di “stipendi” delle imprese in subappalto. Nel corso dell’udienza preliminare - insieme al padre e collega Bruno Di Corrado e a tre imprenditori bengalesi - il tributarista ha trovato un accordo con la Procura per poter patteggiare e chiudere così il fronte-sfruttamento manodopera. L’accordo raggiunto tra i difensori e i pm Gava è attorno all’anno di pena: sarà la gup Barbieri a decidere se sia o meno congrua.
Angelo e Bruno di Corrado sono imputati anche al processo ai “Casalesi di Eraclea”, dove sono accusati di aver messo a punto il sistema di false fatturazioni e assunzioni nelle aziende che ruotavano attorno a Luciano Donadio. Ed è il nome di quest’ultimo che si ritrova tra gli imputati di un altro filone d’inchiesta giunto a processo: quello chiamato “Gold Bengol” dal nome della cooperativa accusata di caporalato, in uno dei tanti procedimenti stralciati. Donadio deve rispondere per una serie di false fatturazioni legate a società a lui riconducibili, la New Industrial Service e la Plus Service.
In questo caso, però, il principale imputato si chiama Kamruzzaman Atm Bhuiyan, cinquantenne del Bangladesh, legale rappresentante della cooperativa: il problema è che non si trova. Formalmente l’uomo è irreperibile e quindi non sarà possibile processarlo ma, in base alle nuove norme della legge Cartabia, se dovesse essere trovato entro il 31 dicembre 2047, ripartirà il processo nei suoi confronti. Una delle ipotesi più probabili è che l’uomo sia tornato nel suo Paese d’origine, il Bangladesh, uno stato con il quale non ci sono accordi bilaterali specifici in tema di giustizia.
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