Mestre, rifiuta ricovero: muore giovane afgano
Lunedì alle 15 era in ospedale, poi aveva firmato per andare a casa. Poco dopo era tornato. Aminollah Mohammadi, apprezzato mediatore culturale di 25 anni, è stato tradito dalla rottura dell’aorta

Aminollah Mohammadi
MESTRE. Aveva lasciato l'Afghanistan sei anni fa per cercare di costruirsi una vita migliore nel nostro mondo. E ci era riuscito, diventando uno dei più apprezzati mediatori culturali del Comune di Venezia. Una vita «nuova», nuovi amici, nuove prospettive. Un secondo tempo della sua esistenza che, però, è durato troppo poco. A soli 25 anni, al Pronto soccorso dell'ospedale dell'Angelo, lunedì sera Aminollah Mohammadi ha trovato la morte.
Aminollah - per tutti gli amici Amin - era stato uno dei primi rifugiati, nel 2004, ad arrivare a Venezia e a inserirsi a pieno titolo nel nostro tessuto sociale. Da circa un anno era costretto alla dialisi. Si era sottoposto alla consueta seduta anche lunedì mattina. Nel pomeriggio, verso le 15, Amin arriva in ambulanza al Pronto soccorso lamentando dolori alla schiena, nella zona scapolare. Viene visitato e gli viene assegnato un codice verde: nessun rischio per la vita, dunque. Gli viene detto di aspettare. Un'ora più tardi, poco dopo le 16, Amin si stanca. Chiede spiegazioni, si dimostra, scrive il medico «poco collaborante, critico nei confronti della terapia». Alla fine chiede di essere dimesso.
Il quadro clinico, però, evidentemente si era aggravato. Il medico, stando a quanto dichiarato sul referto sanitario, lo invita infatti a ripensarci e lo informa dei «rischi letali cui si sottopone» abbandonando il Pronto soccorso. Amin, però, ormai ha deciso. Va a casa. Qui, però, il dolore non passa. A un certo punto diventa insopportabile. Alle 17 si ripresenta da solo al Pronto soccorso e lamenta la persistenza dei dolori alla schiena. Viene visitato ancora una volta dallo stesso medico, viene sentita la nefrologa che l'aveva sottoposto a dialisi in mattinata, gli vengono somministrati dei medicinali.
Con il passare del tempo il suo stato di salute sembra migliorare. Ma verso le 20 la situazione precipita. Una radiografia evidenzia una dissezione aortica. Amin viene portato in area rossa e finisce in arresto cardiocircolatorio. Viene sottoposto alle manovre rianimatorie, intubato. Per 45 minuti i medici cercano di rianimarlo, ma inutilmente. Poco prima delle 22 viene dichiarato il decesso del paziente. In sala d'attesa non c'è nessuno. Nessuno da avvisare, nessuno che lo pianga nell'immediatezza della sua morte. Il parente più prossimo abita a Milano. Viene contattato dalla polizia, il giorno dopo arriverà a Mestre. La comunità afgana, però, in serata viene a conoscenza della drammatica notizia.
Cerca di capire quello che può essere successo, di darsi una spiegazione. I sanitari rispondono che Amin ha firmato, che era capace di intendere e volere quando ha deciso di allontanarsi dal Pronto soccorso rifiutando le cure proposte. Gli amici non vogliono crederci. «Amin non l'avrebbe mai fatto -dicono - Qualcosa deve essere successo. Non può essere andata così».
Due giorni a macerarsi nel dubbio, a capire se possono fare qualcosa, se arrendersi a credere a quello che è stato dichiarato sul referto di Pronto soccorso o cercare un'altra verità. Oggi è previsto il riconoscimento all'obitorio. Non è ancora stata fissata la data dei funerali, celebrati i quali Amin affronterà l'ultimo viaggio: destinazione Afghanistan.
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