Il Tar: no ai ginecologi salvi i mini punti nascita

VENEZIA. Il Tar di Venezia ha respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso che l’Associazione Ostetrici Ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) e la Società italiana di Ginecologia e Ostetricia...

VENEZIA. Il Tar di Venezia ha respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso che l’Associazione Ostetrici Ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) e la Società italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo) avevano presentato giusto un anno fa contro la delibera regionale che “salvava” i punti nascita con meno di 500 parti l’anno, in deroga a quanto previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 2010 e da un Decreto ministeriale del 2015.

Non sarà quindi una sentenza del Tribunale amministrativo a far chiudere i punti nascita degli ospedali di Piove di Sacco nel Padovano, Venezia, Pieve di Cadore nel Bellunese, Adria e Tercenta nel Polesine, Asiago e Valdagno nel Vicentino. Su questi, infatti, verteva il ricorso redatto per Aogoi e Sigo dagli avvocati Roberto Righi e Franco Stivanello Gussoni, i quali chiedevano l’annullamento della delibera regionale 2238 del 23 dicembre 2016. Secondo ginecologi e ostetrici i punti nascita con meno di 500 parti l’anno, riorganizzati dalla giunta veneta con standard qualitativi diversi rispetto a quelli stabiliti dall’accordo Stato-Regioni, non sarebbero sicuri per mamme e bambini. Secondo la norma generale, i punti nascita sotto i 500 parti avrebbero dovuto essere accorpati e razionalizzati per raggiungere almeno i mille parti l’anno e garantire la presenza di professionisti e servizi 24h. La deroga è prevista solo in condizioni orogeografiche difficili, quindi nelle sole zone montuose dove i collegamenti possono risultare complessi.

La delibera impugnata stratificava la rete dei punti nascita in quattro livelli di intensità di cure, in ragione dei volumi dei parti, da due a cinque stelle. Per quelli a due stelle la giunta regionale ha previsto la presenza dell’ostetrica per 24 ore al giorno, del ginecologo per 12 ore al giorno, del pediatra per 3 ore al giorno, dell’anestesista per 24 ore al giorno. Tale organizzazione, tuttavia, si discosta da quanto previsto dall’Accordo che impone per i punti nascita la presenza 24 al giorno di pediatra neonatologo, ginecologo e anestesista. Da qui la preoccupazione dei medici che hanno presentato ricorso, contro il quale si sono costituite in giudizio sia la Regione Veneto che l’Usl 6 Euganea, chiedendo ovviamente il rigetto del ricorso.

Due i motivi ai quali fa riferimento la decisione del Tar: «La delibera» scrivono i giudici, «non incide in via diretta e immediata sugli interessi della categoria di ginecologi e ostetrici e non lede la sfera giuridica soggettiva dei medici i quali, pur in presenza di eventuali carenze nell’assistenza medica in favore delle partorienti, non hanno alcuna legittimazione a far valere gli interessi degli utenti del servizio sanitario. In secondo luogo» continua la sentenza, «nel volere la chiusura dei punti nascita sotto i 500 parti annui, non tutelano l’interesse unitario della categoria di ginecologi e ostetrici, perseguendo un interesse diverso e contrapposto di quello in capo a medici e sanitari che in tali strutture operano e lavorano».

Per la decisione del Tar esulta il presidente della V Commissione Sanità in Regione Fabrizio Boron: «La delibera ha seguito la ragione del buonsenso» commenta, «la deroga ha voluto salvaguardare punti nascita strategici nell’ottica di garantire un servizio sul territorio ai cittadini nel pieno rispetto degli standard di sicurezza che riusciamo a garantire senza penalizzare il bilancio».

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