Venezia laboratorio di idee: l’Ospedale al Mare segna la rotta da ritrovare

Le crisi di Venezia non derivano dal turismo in sé, ma da un modello che ha sacrificato equilibrio, pluralità e residenza. Per tornare a vivere deve riscoprirsi crocevia di competenze, spazio fertile per mestieri antichi e innovazioni idonee a migliorare la qualità della vita

Gianni Moriani*
L'ex Ospedale al Mare al Lido di Venezia
L'ex Ospedale al Mare al Lido di Venezia

Venezia oggi vive una tensione profonda tra ciò che è e ciò che potrebbe tornare a essere. Nel centro storico si contano 1.090 tra bar e ristoranti a cui si aggiungono circa 50.000 posti letto per appena 48.000 abitanti: un rapporto che descrive con crudezza la trasformazione del tessuto urbano.

La città è stata sbilanciata verso una monocultura turistica che invade gli spazi pubblici, genera bassi salari, produce una quantità di rifiuti insostenibile e alimenta fenomeni degenerativi come i tour alcolici, compromettendo la qualità della vita quotidiana.

La pressione si concentra in aree ormai note: Campo Santa Margherita, divenuto epicentro della movida, che non manca di implodere in malamovida; Rialto, dove il commercio tradizionale è quasi scomparso, sostituito da bar e bacari; le fondamenta degli Ormesini e della Misericordia, diventate corridoi gastronomici; il lungo rio di Cannaregio, ormai polarizzato sulla ristorazione. Lì, dove un tempo convivevano residenti, botteghe e attività diverse, oggi prevale una dimensione quasi esclusivamente turistica che confligge con la vita degli abitanti.

Gotthardt: «Ecco come sarà il nostro Ospedale al Mare»
L’industriale tedesco Frank Gotthardt che ha acquistato l’area dell'ex Ospedale al mare per 24 milioni di euro

Ma c’è un altro elemento che racconta la trasformazione di Venezia: la scomparsa delle botteghe artigiane. Per secoli hanno rappresentato il cuore vivo della città, luoghi dove il sapere si trasformava in valore, dove competenze e creatività generavano lavoro, identità e qualità. La loro erosione non è solo un fatto economico: è una perdita culturale profonda, perché priva Venezia della sua capacità di produrre e non soltanto di consumare.

Eppure, qualche segnale di cambiamento esiste. La città si avvia a tornare ad attrarre saperi, idee e innovazione.

L’esempio concreto arriva dal progetto di trasformazione dell’ex Ospedale al Mare del Lido in un parco scientifico-tecnologico dedicato all’applicazione dell’intelligenza artificiale alla medicina. Una struttura capace di generare 900 posti di lavoro altamente specializzati, un polo che può invertire il processo di turisticizzazione, innescando a Venezia un’economia basata su conoscenza, ricerca e valore aggiunto.

Questo progetto indica una strada possibile: ricostruire un ecosistema urbano dove turismo e innovazione convivono senza che il primo divori tutto il resto. Una città che non è solo un luogo da visitare, ma un ambiente in cui si produce sapere; una città capace di far tornare giovani, ricercatori e imprese che sanno immaginare il futuro, e in cui i nostri figli laureati non siano più costretti a emigrare.

Le crisi di Venezia non derivano dal turismo in sé, ma da un modello che ha sacrificato equilibrio, pluralità e residenza. Per tornare a vivere, la città deve riscoprire la sua vocazione storica: essere laboratorio di idee, crocevia di competenze, spazio fertile per mestieri antichi e innovazioni idonee a migliorare la qualità della vita. Solo così potrà sottrarsi alla distorsione del presente e ritrovare la propria anima. —

*docente e saggista

 

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