«Un massacro ancora inspiegabile»
La tragedia di Gorgo dieci anni dopo. Parla Daniele Pelliciardi, il figlio della coppia assassinata. Una messa per ricordare

TOME TREVISO IN TRIBUNALE PROCESSO DUPLICE OMICIDIO DI GORGO AL MONTICANO, DALLE ORE 18.15 ALLE 19.40 PER LETTURA SENTENZA IN FOTO DANIELE PELLICIARDI E LA MOGLIE AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM - Daniele abbracciato dalla moglie
GORGO AL MONTICANO (Treviso). Una messa nel giorno dell’orrore - il 21 agosto – e a metà settembre un concerto e una cena, al campo sportivo del paese sotto un tendone. Stop.
A dieci anni dal massacro di Gorgo Daniele Pelliciardi, il figlio di Guido e Lucia Comin barbamente uccisi da una banda di albanesi, sta lavorando a questo evento con pazienza e impegno. Si chiama «Un gesto d’amore per non dimenticare» ed è una serata semplicemente «in ricordo di Guido e Lucia». Suoneranno i «Bagliori di luce» e il ricavato andrà all’Associazione Aism di Pordenone per la ricerca contro la sclerosi multipla.
«Ho pensato che il modo migliore per ricordare i miei genitori fosse una serata di solidarietà, alla quale chiedo a tutti di partecipare e contribuire». Daniele Pelliciardi ha 52 anni, la stessa famiglia, un nuovo lavoro. Ogni giorno fa visita alla tomba dei genitori: «Vado a trovarli tutti i giorni, nel cimitero di Gorgo dove li abbiamo portati sette anni fa. È un momento solo mio, che tengo a custodire gelosamente. A volte passo al mattino, prima di andare a lavorare. Altre volte la sera, a fine turno. Ma non ho mancato un giorno».
Daniele, come sta?
«Sto lavorando molto per l’organizzazione del concerto: i musicisti avevano conosciuto i miei genitori, per questo li ho scelti. E questo mi tiene occupato».
Come è riuscito a non perdersi?
«Beh, ci sono stati dei momenti in cui mi sono perso. I medici mi dissero: è come se mi fosse passato un treno sopra. Sono qua grazie alla mia famiglia: mia moglie, i miei figli. Ho un ricordo ovviamente molto forte di quella notte e di quel periodo, anche se sono trascorsi dieci anni».
Che lavoro fa oggi?
«Pochi mesi dopo il massacro ho lasciato il mio lavoro di vigilante: non era possibile continuare, con quello che avevo vissuto. E un lavoro nel settore della sicurezza richiede una lucidità che avevo perso. Non puoi fare quel lavoro se hai delle cose dietro, se in testa ti passano le ombre di quella notte».
Cosa fa ora?
«Lavoro in un’azienda di Brugnera come magazziniere, mi trovo bene».
I suoi figli erano bambini all’epoca: oggi quanti anni hanno?
«Mio figlio ha 19 anni, mia figlia 20, sono grandi. Per quanto fossero piccoli si ricordano naturalmente dei momenti trascorsi con i nonni e si ricordano l’agitazione di quei giorni. Nel tempo abbiamo parlato di loro, di quel che è successo».
Si riesce a dimenticare?
«Dimenticare è impossibile, ma certo il tempo aiuta a sbiadire. Si tendono a cancellare le cose più brutte e si cercano di conservare i ricordi belli. Una forma di autodifesa».
Qual è la domanda senza risposta?
«È sempre quella. Perché? Perché proprio a loro? Perché doveva capitare proprio a loro, che erano tra le persone più miti e buone che ci fossero, non avevano mai dato fastidio a nessuno. Chissà qual era il disegno».
Lei è credente?
«Diciamo che credevo di più prima. Una volta un vescovo mi ha detto che era normale allontanarsi dalla fede quando si vivono esperienze così drammatiche».
Secondo lei c’era il quarto uomo?
«Dall’idea che mi sono fatto, seguendo le varie fasi dei processi, sembra di sì anche se non è mai stato provato con certezza. Certo, non è una bella sensazione sapere che potrebbe essere ancora in giro, che possa aver fatto del male a qualcuno e sia ancora in grado di farlo».
Due albanesi e un romeno. In fabbrica ne conosce?
«Sì, certo ho diversi colleghi stranieri. Ho saputo che avevano paura della mia reazione, qualcuno può aver pensato che ce l’avessi con tutti i loro connazionali per quello che è successo ai miei genitori. Ma io non porto rancore né odio, sono persone che non c’entrano niente».
Giustizia è stata fatta?
«Mah, diciamo che le cose non possono cambiare, non potrò mai più abbracciare i miei genitori».
Tra un po’ potrebbe uscire Alin, in regime di permessi diurni. Potrebbe incontrarlo?
«Diciamo che incontrarlo non è tra i miei desideri né tra le mie priorità. Se me lo trovassi davanti? Non credo accadrà, ma non credo neanche possa esistere il perdono per certe cose. Certo, sua madre mi abbracciò al processo e la cosa mi fece piacere. È un gesto che avrei compiuto anch’io, nella sua situazione. Non era colpa sua».
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Argomenti:massacro di gorgo al monticano
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