Tre giorni di barricate e cariche nelle strade. La rivolta che cambiò il destino di Porto Marghera

I cinquant’anni della protesta in via Fratelli Bandiera con duemila operai: un pezzo di storia utile per decifrare, anche oggi, l’area industriale  

L’ANNIVERSARIO

«Ribellarsi fu giusto. E resta giusto farlo». Carlo oggi ha 81 anni. Cinquant’anni fa, a 31 anni, era tra i duemila operai protagonisti della “rivolta di Marghera”: tre giorni di battaglie, barricate, scioperi e cariche della celere, di idranti e cori, che sono una pagina importante delle lotte operaie di Porto Marghera. Tutta Italia seppe delle proteste di Marghera che diventò uno dei siti più rilevanti per le lotte operaie. Prima ancora di Bagnoli.

Di quella protesta, tra il 3 e il 6 agosto 1970, ricorrono in questi giorni i 50 anni. L’estate del Covid-19 finisce con il distanziare anche il ricordo, spostando a settembre i convegni per ricordare quegli anni, su cui è calato il silenzio della storia. «Non eravamo in lotta solo per contratti e stipendi. Allora protestammo contro la decisione di Confindustria dell’epoca di aprire alle ditte esterne, agli appalti e conseguenti subappalti, con condizioni di lavoro peggiorative. Noi alla Sava battagliavamo anche per le scarpe antinfortunistiche, le tute di lavoro, gli aspiratori di fumo, l’eliminazione dell’amianto», ricorda Carlo, passato poi all’Alucentro, chiusa negli anni’90.

Le “armi” contro le cariche della polizia erano anche le scatolette di tonno date ai lavoratori in sciopero e che non andavano in mensa. «La polizia era dura con noi. Lo era sempre...Il commissario sventolava il tricolore e partiva la carica. È successo anche in piazza Ferretto. Andammo avanti per giorni e non finì, per come la ricordo io con una vittoria», ricorda l’operaio mestrino.



Del difficilissimo 1970 a Porto Marghera parla anche un’altra operaia dell’epoca, Leda Cossu. «Mi ritrovo oggi a lottare con le loro figlie e figli, a cui restituisco immagini dei loro padri. I contesti (sempre più sfumati) affiorano come contorno, al centro ci sono le relazioni con i compagni». E quasi a scusarsi: «Nei primi giorni d’agosto 1970 stavo male. Fu per me l’anno dell’isolamento in fabbrica senza lavoro (non fui la sola). Prima della riforma dello Statuto dei Lavoratori potevi essere licenziata per scarso rendimento, così non potevo nemmeno leggere, studiare, fare la maglia, mi ammalai. Le donne pagano con il loro corpo, non ero la sola, ancora oggi è così. (. . .) Pagai l’isolamento con emorragie ripetute. C’ero sempre, non in quei giorni».

Per la Cossu il 1970 fu l’anno di tante conquiste. «Fu l’anno delle imprese, senza mensa, docce, sicurezza sul lavoro, diritti», aggiunge, «lottarono, ebbero risultati, non erano più, allora, gli invisibili di oggi. Non solo lotte di fabbrica. Le riforme sociali, del lavoro, del diritto di famiglia, la nascita delle Regioni, nacquero in quegli anni, dal ventre delle piccole e grandi fabbriche di Porto Marghera e dintorni. Gli studenti si univano agli operai, con noi nelle lotte».

Quella dell’agosto 1970 è una storia da riscoprire perché oggi il lavoro, se c’è, spesso è precario e sottopagato. E perché allora tutta Ca’ Emiliani, il quartiere di Marghera a fianco di via Fratelli Bandiera fu coinvolto nella battaglia. «All’incrocio tra via Fratelli Bandiera e via Bottenigo, dove le fabbriche e le case popolari si toccano, la Celere attaccò il blocco stradale, e la battaglia incominciò. Dapprima soli, gli operai delle imprese ottennero infine l’appoggio di quelli delle fabbriche e poi del porto e, da subito, della gente e soprattutto dei ragazzi (e ragazzini) del rione, che parteciparono intensamente a tutta la battaglia di strada», ricorda il sociologo Gianfranco Bettin.

C’era anche Michele Boato che sul sito dell’Ecoistituto scrive: «È stata la più grande pagina di storia della lotta operaia di Marghera, alla pari dello sciopero antifascista della Breda del 1943, dell’occupazione della stazione di Mestre dell’agosto 1968, delle lotte della Sava degli anni ’60 o della Chatillon del 1969 ma la storiografia ufficiale, democristiana, socialista e comunista, ha deciso di ignorarla totalmente». Al fianco di quelle proteste si schierarono anche i ragazzi di allora, quelli di Lotta Continua, come Mario Capanna, di Potere operaio e della autonomia. —



© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia