Titta Bianchini, storia di un uomo gentile Ieri mattina i funerali

Chiesa strapiena. Amici e colleghi di lavoro, uomini di chiesa, giornalisti e preti che lo avevano conosciuto e ne avevano apprezzato le grandi qualità. Una grande folla ha dato l’addio ieri mattina nella chiesa di San Simeon Grando, in Rio Marin, a Giovanni Battista Bianchini, «Titta» per gli amici. Figura inconfondibile di uomo di lettere e di fede, che ha segnato la storia diocesana nell’ultimo mezzo secolo.
Titta è morto dopo il riacutizzarsi di una grave malattia che combatteva da tempo. Parole lievi per lui nell’omelia concelebrata anche dal suo vecchio amico don Ettore Fornezza.
Testimonianze di affetto che hanno permesso di riscoprire lo spessore di un uomo che ha dato molto alla chiesa e alla cultura veneziana. Nato a Venezia nel settembre del 1933, quarto di dieci fratelli e di una famiglia numerosa e cattolicissima , aveva da poco compiuto 85 anni. Non era rado incontrarlo per la strada. Il suo «secondo ufficio», dove parlava e raccoglieva notizie. «Conosceva tutti, era un uomo buono», lo ricorda Roberto Ballarin, giornalista del Gazzettino che con lui aveva condiviso molti interessi negli ultimi anni, «per me era stato un maestro, oltre che un grande amico».
Fisico da pugile, altezza fuori dal comune per i suoi tempi, Bianchini era un «omone buono». Sempre prontio al dialogo e a dare una mano. «Pace e bene», il suo proverbiale saluto, che aveva preso in prestito dai frati Cappuccini e dal suo idolo padre Pio da Pietralcina.
Bianchini era un bravo giornalista. Cronista dal 1956 della «Voce di San Marco», il settimanale diocesano che aveva la sua piccola sede al piano terra del palazzo patriarcale, ma anche dell’Avvenire d’Italia, il settimanale cattolico nazionale, poi di Gente veneta, di cui era stato fra i fondatori. Titta interpretava il lavoro di cronista come di colui che raccoglieva notizie. Non scendeva mai nel «gossip» e nei «si dice». Manteneva sempre un profilo istituzionale e ufficiale. Ragion per cui era ritenuto «affidabile» dagli uomini di Curia e degli altri prelati che hanno frequentato in questo ultimo mezzo secolo il palazzo patriarcale. In privato aveva una grande umanità.
Lo si è capito ieri mattina, vedendo i volti sinceramente commossi dei tanti veneziani venuto a dargli l’ultimo saluto nella sua chiesa. —
A.V.
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