«Sull’acqua da quando ero bambino Il fiume lo devi ascoltare e rispettare»

il personaggio
Dopo 48 anni di lavoro, il “Canarin” va in pensione. Felice Gazzelli, 67 anni, di Ceggia, era l’ultimo pescatore professionale di fiume rimasto in attività nel territorio tra il Piave e il Livenza. Per decenni ha pescato prima sul Brian, poi sul Livenza e negli ultimi anni anche sul Sile, nel tratto che da Caposile va giù fino a Jesolo. Ma adesso il “Canarin”, il soprannome con cui tutti lo conoscono, ha detto basta. Negli ultimi anni Gazzelli, immortalato in centinaia di pose dal fotografo torresano Beppe Ave, si era specializzato nella pesca delle anguille, tanto da diventare gran maestro delle Confraternita del Bisàt.
Lei è l’ultimo erede di una lunga tradizione di pescatori, sia la sua famiglia paterna che quella materna hanno vissuto di pesca nei fiumi. È orgoglioso di aver portato avanti questa tradizione?
«Sono l’unico che ha continuato questo mestiere e ho la soddisfazione di essere riuscito ad arrivare alla pensione. Ho alle spalle 48 anni di lavoro. Ho iniziato in regola a 16 anni, ma la passione per la pesca è cominciata già quando ne avevo 10. I miei genitori non volevano assolutamente che continuassi nell’attività di famiglia, perché lo vedevano un mestiere finito già all’epoca. Ma ero un bambino testardo. Quando alle 4 del mattino sentivo mio padre e i miei nonni che andavano a pescare, mi facevo trovare con il mio giubbottino e gli stivaletti davanti alla porta, sperando che mi portassero con loro».
Com’è cambiata la pesca di fiume?
«Trent’anni fa ti mettevi in piazza con il tuo banchetto e potevi vendere tutto quello che pescavi. Facevamo anche un’opera sociale, perché dopo mezzogiorno tutto quello che era rimasto invenduto lo si regalava a chi sapevamo che non poteva pagare. Ma poi le regole e il mercato mi hanno obbligato a rinunciare e mi sono indirizzato esclusivamente sulle anguille. Negli ultimi 25 anni la quasi totalità del mio piccolo reddito da pescatore è stato rappresentato dalle anguille. Anche perché le altre specie di pesci di fiume non vengono più considerate a livello commerciale. Nella nostra zona si consumano solo le anguille, mentre l’altro pesce di fiume non ha mercato, è come se non esistesse. In altre aree, penso al lago d’Iseo o al lago di Garda, ci sono invece fior di ristoranti che lavorano ancora alla grande con il pesce di fiume».
Con il suo pensionamento muore la pesca di fiume?
«Qualcuno è rimasto ancora, nella mia zona c’è un altro pescatore. Ma tutti hanno alle spalle anche altre attività, mentre per me la pesca era quella primaria, non ho mai avuto altri impieghi. Ho sempre pescato con gli attrezzi che usavano i miei nonni. Pur con piccole modifiche, l’attrezzatura è rimasta la stessa».
Un pescatore è anche un presidio per la tutela del fiume?
«Chi deve vivere del fiume è il primo che lo rispetta. Sa quanto deve prendere e quando deve fermarsi, perché non si può prelevare dal fiume più di quello che il fiume dà. Gli ultimi dieci anni sono stati terribili, per i problemi ambientali, di inquinamento e dei cambiamenti climatici. In queste situazioni un pescatore deve rispettare il fiume ancora di più. Ma la mia strategia si è rivelata vincente. Posso dire di aver pescato fino all’ultimo, dove hanno pescato i miei genitori. Anche se non posso dire di lasciare il fiume come lo avevo trovato 48 anni fa, certo non è dipeso da me».
Adesso andrà a pescare da pescatore sportivo?
«No, non avrebbe senso. Per me la pesca è stata sempre una professione. Dal mio lavoro ho avuto delle belle soddisfazioni, ma non è un divertimento». —
giovanni monforte
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