Rifiutato il patteggiamento al rapinatore 21enne: troppo pochi due anni e mezzo

VENEZIA. Ha ritenuto che fossero troppo pochi 2 anni e 6 mesi di reclusione per tre violente rapine, anche se imputate a una banda di giovanissimi e – nel caso in questione – dell’unico ragazzo identificato: il ventenne trevigiano Marian Laurentiu Tanase.
Così, ieri, il giudice per le udienze preliminari Gilberto Stigliano Messuti ha respinto l’accordo di patteggiamento della pena raggiunto tra l’avvocato difensore Antonio Bondi e la pubblico ministero Antonia Sartori e il giovane è stato rinviato a giudizio.
Dopo il “no” del giudice al patteggiamento, il legale ha scelto il rito abbreviato - che in caso di condanna, garantisce lo sconto di un terzo della pena all’imputato - e il processo si terrà davanti ad un altro giudice per le udienze preliminari, a fine aprile.
Il ventenne Tanase è accusato di essere stato tra i protagonisti di tre pestaggi brutali avvenuti in centro storico nell’inverno del 2019: mesi in cui diverse baby gang avevano messo a segno furti, aggressioni, rapine, atti di vandalismo, tra Mestre e Venezia, tanto da impegnare la Squadra Mobile e tre diversi pubblici ministeri nelle indagini, fino a individuare quattro gruppi di ragazzi, con numerosi provvedimenti di custodia cautelare disposti dal giudice.
Tenese deve rispondere di tre rapine in concorso. Un primo episodio è accaduto il 13 gennaio a Rialto dove due giovani erano stati malmenati e rapinati da dei coetanei. Pochi giorni dopo, il 19 gennaio, un’altra aggressione: in quell’occasione le vittime erano stati due universitari.
Ad uno era stata rotta la mascella ed era dovuto ricorrere ad un intervento chirurgico e una lunga malattia. Secondo gli investigatori, a colpire era stato un gruppo composto da almeno una decina di minorenni oltre a Tanase. E poi ancora, il 23 marzo, l’aggressione a un altro giovanissimo al Lido, per rubargli 20 euro. La vittima era stata accerchiata da 7-8 ragazzini e costretta - senza violenza - a consegnare quello che aveva in tasca. Ma uno dei componenti della banda era stato riconosciuto dalla stessa vittima che si era confidata con il fratello. E così quest’ultimo, il giorno dopo, aveva preso contatti con uno dei bulli ed era riuscito a farsi restituire i soldi.
«Spiace che un’intesa raggiunta con l’avallo della Procura non sia stata ritenuta congrua dal giudice», il commento dell’avvocato Bondi, «perché il ragazzo ha da poco trovato un lavoro ed aveva cercato anche strutture dove fare volontariato sociale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia