Quel tesoro in giardino gestito da mamma Lucia

VENEZIA. Un vorticoso giro di denaro investito in Italia, Svizzera e Olanda, affidato a una pluralità di broker più o meno ufficiali. I segreti del tesoro di Felice Maniero, o perlomeno una parte di essi, sono stati raccontati ieri in aula bunker a Mestre dal diretto interessato. L’ex boss della Mala del Brenta è stato sentito nell’udienza a carico del broker toscano Michele Brotini, accusato di aver riciclato in Svizzera 11 miliardi di vecchie lire affidatigli da Faccia d’Angelo. Una deposizione lunga quattro ore che ha fatto luce sull’attività finanziaria della famiglia Maniero.

Della famiglia perché c’era un coinvolgimento di tutti i parenti nella gestione dei proventi dello spaccio e delle rapine: dal cugino che sotterrava pacchetti da 300 milioni nel giardino del boss, a un ex cognato che metteva i soldi nei garage di Padova e all’altro che invece li investiva in fondi. Ma soprattutto c’era lei, la mamma di Maniero, la signora Lucia Carrain oggi 88enne che, di fatto, era la cassiera del tesoro. «Il boss era lei», ha sostenuto in aula Giuseppe Pastore, uomo della Mala, ex cognato di Felicetto e a sua volta testimone al processo di ieri. Il tesoro interrato in giardino. Era il cugino Giulio Maniero, sentito come teste, ad aver gestito i soldi della famiglia dall’86 al ’91. «I proventi dello spaccio li mettevo in sacchetti e li nascondevo nel giardino di Maniero. Interravo 200-300 milioni per volta. In tutto circa 1 miliardo di lire».
Le indicazioni gliele dava il boss durante i colloqui settimanali nel carcere di Fossombrone; i nascondigli venivano comunicati alla signora Lucia. I pizzini. Dopo il ’90 Pastore prese il posto di Giulio e cambiò il “caveau”: «Li tenevamo in un garage a Santa Rita a Padova, in uno di Giuliano Sartore e in un sotterraneo di Campagna Lupia», ha riferito in aula, «Quando si raggiungeva il miliardo di lire si facevano dei pacchi che venivano consegnati alla mamma di Maniero, a Bosco di Sacco. A quel punto i pacchi sparivano».
Maniero continuava a dare ordini dal carcere attraverso pizzini personalizzati consegnati a Pastore e ad altri due uomini che avevano il controllo dei soldi: «A ciascuno diceva di diffidare degli altri, in tal modo ci controllavamo a vicenda e Maniero era sicuro di non essere fregato», ha spiegato Pastore. I broker. Ma i soldi non restano sempre in giardino.
L’ex boss decide di investirli all’estero attraverso una pluralità di broker: Brotini a cui, secondo l’accusa, vennero affidati 11 miliardi di vecchie lire; il cognato Riccardo Di Cicco (marito della sorella Noretta) a cui vennero dati 21 miliardi; Natalino Gobbato (il broker della Mala) a cui vennero consegnati 6,3 miliardi; il fotografo Galvan di Monselice che, secondo quanto raccontato ieri in aula, conosceva bene l’inglese e portó il denaro in Olanda.
Maniero si rivolgeva a terzi perché, ha spiegato, lui di finanza non si intendeva proprio: «Ero il più grande ignorante del mondo su dove i soldi venivano investiti. Mio cognato diceva che li metteva in fondi professionali e io ci credevo». E all’avvocato che gli ha chiesto al processo come potesse fidarsi di dare tanto denaro a sconosciuti, l’ex boss ha spiegato: «Non avrei mai immaginato di diventare collaboratore di giustizia per cui se qualcuno mi avesse rubato i soldi avrebbe fatto una brutta fine». La mamma cassiera. «Conobbi Di Cicco nell’82 quando si fidanzò con mia sorella», ha raccontato Maniero dicendo che gli diede subito 50 milioni: «Gli servivano per iniziare l’attività di dentista e io non feci obiezioni».
Glieli consegnò inizialmente tramite la mamma Lucia perché il boss era latitante a Marbella in Spagna. Latitante, ma tutt’altro che solo: «Veniva sempre qualcuno a fare le vacanze con me», ha detto. Fu sempre la madre che qualche mese dopo, in carcere a Fossombrone, gli prospettò le possibilità di operazioni finanziarie: «Mi disse che Riccardo proponeva di investire i soldi in fondi e obbligazioni. Accettai: sempre meglio che lasciarli nascosti in sacchetti sotto terra. Mia madre glieli dava quando lui andava a trovarla con mia sorella nei weekend».
Dopo l’evasione da Fossombrone, gli incontri col cognato si tennero nella casa toscana del dentista: 21 miliardi in tutto, anche 1 miliardo per volta, la somma che gli sarebbe stata versata. E il boss dalla vita spericolata, raccomandava investimenti prudenti: «Non volevo rischiare in Borsa, non volevo perdere tutto». Meglio le obbligazioni delle azioni. Al cognato pagava una commissione annuale di 100 milioni, ha detto, in un conto aperto a tale scopo a Montecarlo. Quei 21 miliardi, secondo Maniero, non gli sarebbero mai più stati restituiti nonostante tutti i tentativi di riaverli. Di qui la decisione di denunciare il cognato, anche a costo di rompere con la sorella Noretta.
La lite con la sorella. «Lei prima era d’accordo, poi non più. I nostri rapporti si sono chiusi», ha spiegato Maniero che ha riferito di averci già litigato quando lei divorziò da Di Cicco: «Per avere una certa somma di alimenti lo minacciò, alla presenza dell’avvocato, di raccontare dei soldi in Svizzera. Quando l’ho saputo mi sono arrabbiato con lei. Mi ha costretto a portare via tutto dai conti». Sono gli 11 miliardi per i quali è finito ieri a processo il broker Brotini.
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