Pili, l’architetto denuncia il consulente. «Ci chiese soldi per un progetto mai nato»

VENEZIA.
L’affare dei Pili finisce in Procura. Non c’entra il Comune, e nemmeno Porta di Venezia, la società di proprietà del sindaco titolare dei terreni. Un esposto denuncia con l’accusa di truffa, falso e minacce è stato presentato ai magistrati di Firenze dall’architetto Luis Lotti, il professionista toscano che segue i progetti del miliardario di Singapore Ching Chiat Kwong.
Accusa Claudio Vanin, imprenditore e titolare della Sama Global e immobiliarista trevigiano, ex consulente tecnico del gruppo, di avere truffato lo studio e l’imprenditore dell’Estremo Oriente. «Ci ha chiesto soldi per un progetto mai andato a buon fine», dice, «ma adesso vogliamo andare fino in fondo. Presenteremo anche un altro esposto per minacce».
La storia è aggrovigliata. Vanin è l’intermediario che nel 2017 cerca di accreditare in Comune un progetto di sviluppo dell’area dei Pili. Per questo prende contatti con i massimi dirigenti di Ca’ Farsetti, si informa delle possibilità urbanistiche dell’area. Assicura che il signor Ching, miliardario di Singapore autore di un mega progetto di sviluppo simile a Londra, è interessato alla questione.
Ma qualcosa va storto. Il progetto non decolla, Ching si ritira prima ancora di presentare al Comune la domanda. «Troppo grande», dice l’architetto, «abbiamo deciso che non andava». In un primo tempo si parla anche dell’ipotesi che a collaborare sia l’architetto trevigiano Tobia Scarpa. Ma non se ne fa nulla. Adesso Vanin insieme alla sua società chiede di essere pagato. Affare (sfumato) da centinaia di milioni di euro, parcella stratosferica.
Ma chi è Vanin? Passa agli onori della cronaca una decina di anni fa, per il fallimento e il rinvio a giudizio per bancarotta della sua società Maber impianti. Ricorsi, pignoramenti, Tribunali, decreti ingiuntivi. Una galassia di nuove società con sede a Villorba che si occupano di impianti. La Maber immobiliare, fallita anch’essa nel 2012, la Flaver, la Plinext.
Adesso il carteggio, che coinvolge in parte anche l’ex amministratore unico di Porta di Venezia Derek Donadini. «Ma non c’è alcun progetto, né alcuna istanza presentata al Comune», dice Lotti.
Perché allora l’imprenditore avrebbe messo gli occhi proprio su quell’area?
Ching arriva a Venezia nel 2012, quando Brugnaro non è ancora sindaco. Acquista palazzo Donà in campo Santa Maria Formosa, ottiene la Variante per la sua trasformazione in albergo.
«Non è stato un affare», dice Lotti, «lo abbiamo pagato 330 mila euro più del prezzo di base, e non c’erano altri concorrenti». Qualche anno dopo tocca a palazzo Papadopoli, già sede dei vigili urbani. «Anche qui 14 milioni per realizzare 26 stanze non sono stati un grande affare», continua, «tanto che il vicino hotel Papadopoli non ha nemmeno partecipato». Due hotel che adesso potrebbero essere di nuovo venduti. «Questo non è vero», taglia corto Lotti, «palazzo Donà lo abbiamo dato in gestione a una società di Jesolo, sull’altro è al lavoro l’architetto Torsello».
Acquistati i due alberghi, Ching chiede se ci sia in laguna un’area dove poter avviare investimenti milionari per costruire hotel, servizi, centri commerciali. E cerca di ottenere i Pili. Ma l’affare non va in porto. E adesso gli intermediari chiedono il conto. —
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