Ok solo a mostre temporanee senza cambio destinazione

E.t.

Resta l”editto” blocca-mostre, per limitare le esposizioni nel periodo della Biennale Arte - o Architettura - in palazzi storici normalmente destinati ad altro uso.

A meno che non possano sfoggiare il prezioso marchio del leone biennalesco per ospitare padiglioni stranieri e mostre collaterali “vistate” dalla fondazione presieduta da Roberto Cicutto.

Con la disposizione emessa già lo scorso anno, il Comune conferma che per gli immobili utilizzati ad attività di mostra a carattere temporaneo non è necessario il cambio di destinazione d’uso.

Ma fissa un limite di durata massima: 180 giorni comprensivi dei tempi di allestimento e disallestimento delle mostre, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale, precisando che la durata oltre tale termine rende l’attività abusiva a far data dal 181° giorno. Inoltre, il Comune precisa che per la connotazione di occasionalità devono intercorrere almeno 12 mesi dalla data di rimozione degli allestimenti. Non è possibile, in sostanza, più di una mostra di lunga durata all’anno in edifici che non sono nati come spazi espositivi, ma vengono utilizzati a questo scopo. Un provvedimento anche contraddittorio, visto che la Biennale dura sette mesi – da maggio a novembre – e chi organizza una mostra nel periodo dovrebbe fermarsi a sei. E che impedisce di sfruttare le stesse sedi sia per la Biennale Arte, sia per quella di Architettura, che si susseguono un anno dopo l’altro. Si salvano solo i soggetti del terzo settore – fondazioni o associazioni non profit - per cui il limite non vale. E chi, naturalmente, deciderà di chiedere il cambio di destinazione d’uso del proprio palazzo, facendone in permanenza la sede di mostre. Esentati anche i palazzi che, pur senza destinazione d’uso espositiva, ospitino appunto mostre con il marchio Biennale. Ma qual è il senso di un provvedimento che finisce per deprimere un settore economico – quello legato al business delle mostre durante la Biennale – con un importante indotto sulla città? Oltretutto in un periodo in cui – a causa del Covid – sono «fuggiti» anche i turisti? C’è chi parla di un provvedimento affrettato, di cui non si sono evidentemente valutate le conseguenze pratiche. E chi pensa invece che possa essere un aiuto indiretto alla Biennale, che organizza le sue mostre collaterali e consente ai Paesi privi di una sede ai Giardini o all’Arsenale di trovare uno spazio espositivo nel resto della città storica ma guarda con una punta di sospetto chi vuole sfruttare il suo effetto di trascinamento, allestendo altre mostre a Venezia nello stesso periodo. Va sottolineato anche che - grazie anche ai nuovi spazi a disposizione all’Arsenale - la Biennale “spinge” perché i Paesi ancora privi di padiglione si insedino qui. Ma il provvedimento sta iniziano a limitare l’organizzazione di mostre “altre” nei palazzi nel periodo della Biennale. Comincia per molti a non convenire più. —

E.T.

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