Molecole: il lockdown di Venezia anteprima della Mostra del Cinema

Il documentario di Andrea Segre riflette sull’equilibrio impossibile della città, martoriata dal turismo di massa eppure dipendente dallo stesso
Foto di scena fornita dall'ufficio stampa di 'Molecole', docufilm di Andrea Segre in preapertura alla 77/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (2-12 settembre) e in sala dal 3 settembre con Zalab Film in collaborazione con Lucky Red, Venezia, 1 settembre 2020. ANSA/UFFICIO STAMPA +++++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
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VENEZIA. Storia di pieni e di vuoti, di presenze e assenze, di alte e basse maree. Andrea Segre anticipa l’apertura della 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia con il suo ultimo documentario “Molecole”, girato quasi per caso mentre si trovava a Venezia per due progetti di cinema e teatro pochi giorni prima che la città, e con lei il mondo, si fermasse per il lockdown.

Segre, testimone diretto del progressivo svuotamento di calli e sestieri, già sommersi dall’acqua alta alla fine del 2019, riflette sull’equilibrio impossibile di Venezia, martoriata dal turismo di massa eppure dipendente dallo stesso.

L’immobilità di una situazione straordinaria costringe il regista a osservare non solo le vite degli altri, ma anche la propria. “Molecole” diventa, così, un viaggio interiore, un percorso terapeutico alla riscoperta del rapporto con il padre Ulderico, fisico-chimico veneziano, scomparso nel 2008. Un uomo riservato, poco incline al dialogo, il cui ricordo è racchiuso in una vecchia fotografia in bianco e nero mentre tiene in braccio il figlio davanti a uno specchio: il suo sguardo sembra inizialmente smarrirsi prima di posarsi, come una carezza, sul regista bambino.

Una catarsi laica

Foto di scena fornita dall'ufficio stampa di 'Molecole', docufilm di Andrea Segre in preapertura alla 77/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (2-12 settembre) e in sala dal 3 settembre con Zalab Film in collaborazione con Lucky Red, Venezia, 1 settembre 2020. ANSA/UFFICIO STAMPA +++++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
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“Molecole” ha l’incedere di un rito liturgico, una catarsi laica che dirada le nebbie del passato di Segre alle prese con la sua opera più personale e, forse, più difficile, come se il sigillo del riserbo tenesse incollate alcune pagine di questa storia. Che è anche quella di un destino. Di suo padre che, soffrendo di una anomalia cardiaca congenita, aveva abbracciato la scienza e lo studio della materia come mezzo per dialogare con l’inevitabile o, meglio, con “l’assurdo della vita” come lo definiva Albert Camus.

E così tentare di trovare delle regole al caso per accettarlo. Ma anche il destino di Venezia e quell’equilibrio troppo fragile con l’acqua (“Il mare difende e minaccia, dà vita e morte senza soluzione di continuità”) e con il turismo dilagante che Segre racconta attraverso brevi ritratti che si alternano alle immagini di archivio del padre in super8, filtrate dalle musiche limbiche e ineluttabili di Teho Teardo.

Elettroni solitari che riflettono sulla Venezia scomparsa e, magicamente, riapparsa nei giorni della pandemia quando il vuoto e il silenzio sono calati sulla città. C’è la storia di Mauro che vive a Vignole sul suo bragozzo e quella di Giulia che sta a Castello e, nel 2019, ha lottato con l’acqua alta ma non rinuncerebbe mai alla sua Venezia come altri, invece, hanno fatto sconfitti dalla marea che, insieme ai muri, infradicia i sogni.

I pensieri di Elena

Foto di scena fornita dall'ufficio stampa di 'Molecole', docufilm di Andrea Segre in preapertura alla 77/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (2-12 settembre) e in sala dal 3 settembre con Zalab Film in collaborazione con Lucky Red, Venezia, 1 settembre 2020. ANSA/UFFICIO STAMPA +++++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
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E ancora Elena, vogatrice professionista che insegna l’arte del remo ai visitatori stranieri e che, contemplando la città deserta di notte sulla propria barca confessa: “mi se podesse assaria cussì tutto l’anno”, pur nella consapevolezza che il suo stesso lavoro dipende proprio dal quel turismo che sta uccidendo Venezia e che il regista racconterà nel suo prossimo film di finzione (“Welcome Venice”, le cui riprese cominceranno il 12 ottobre).

E poi la scomparsa delle barene di Sant’Erasmo, quelle lingue di terra che dividono le acque della laguna, segno tangibile di realtà destinate a essere sommerse per sempre e le parole di “Caigo”, ex dirigente del centro di Punta della Salute per la misurazione dell’acqua alta, che si trova davanti una città-palafitta immobile come nemmeno 50 anni fa. Caigo, ovvero nebbia in veneziano, per Segre metafora perfetta della dimensione di Venezia: magica e surreale, presenza ectoplasmica e immateriale, eppure visibile.

Anche la nebbia, al pari della marea, sale e scende e lascia sul campo ombre e incertezze. E c’è il futuro della piccola figlia del regista, congelata nella sua infanzia dalla paralisi del lockdown vissuto in un piccolo appartamento della Giudecca (con il festeggiamento di un compleanno che non sembra, in realtà, scandire alcun tempo, alito su un vetro che si appanna e, dopo qualche secondo, torna trasparente).

Un dialogo padre e figlia che rinnova quello, rimasto sepolto per troppo tempo, tra il regista e suo padre. Lui studiava la materia perché era convinto che l’uomo fosse fatto solo di quella. Materia sì, ma inevitabilmente fragile e fugace, come lo sguardo ritrovato di una fotografia in bianco e nero. —

 

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