Mestre, Chiara e la morte per anoressia a 33 anni. La madre: «Non temete di chiedere aiuto»

La ragazza era malata da quando ne aveva 22. La famiglia: «In questa città mancano strutture adatte per le cure» 
Chiara Fregonese, morta per anoressia a 33 anni
Chiara Fregonese, morta per anoressia a 33 anni

MESTRE. Per mamma Antonella Pampagnin quello di venerdì è stato il giorno del dolore. Saranno celebrati sabato mattina, alle 10, nella chiesa di Carpenedo, i funerali della figlia Chiara Fregonese, di 33 anni, vinta mercoledì da un male contro cui lottava da oltre dieci anni: l’anoressia.

Il giorno del dolore, ma anche il giorno in cui la donna ha trovato il coraggio di rivolgersi ai tanti, tantissimi ragazzi che, come ha fatto la sua Chiara, combattono contro questa malattia subdola e di cui ancora si parla troppo poco: «A tutti i giovani che si trovano nella stessa situazione di Chiara direi di farsi curare. Non abbiate paura di chiedere aiuto» il suo appello. Chiara era bella, piena di energia.

«Estremamente solare, innamorata della vita, dello studio, di qualsiasi approfondimento. Interessata a qualsiasi cosa. Molto volenterosa, capace, dotata, piena di risorse. Ma, purtroppo, in tutto questo c’era anche questo lato negativo». Un’oscurità che si è insinuata nella vita di Chiara quando lei aveva appena 22 anni.

«Sono svuotata. Penso che, se mia figlia fosse vissuta in un’altra città, avrebbe affrontato un percorso diverso», la dura accusa della madre.

«Per curarsi contro l’anoressia, a Mestre, nella sanità pubblica c’è veramente poco. Quello che viene fatto è solamente ricoverare i ragazzi in psichiatria, ma oltre a questo non c’è nessun supporto psicologico nutrizionale. Ci sono degli studi privati ma, per una malattia come quella di Chiara, sono necessarie delle strutture multifunzionali, con diversi esperti. C’è la Casa delle farfalle a San Donà, ma le domande sono molte, a fronte di un numero limitato di posti letto. C’è Villa Garda, sul lago, ma lì le degenze durano appena tre mesi e le liste di attesa sono lunghissime. È tutto troppo complicato e c’è un bisogno enorme di strutture», l’analisi estremamente lucida della madre.

Chiara era figlia unica e a piangerla, oltre alla mamma e ai tanti amici, è anche il papà Mirco. Studentessa modello, dopo il diploma allo Scientifico Bruno e la Laurea in Economia a Ca’ Foscari, entrambe a pieni voti, aveva lasciato l’Italia, prima per il Lussemburgo e poi per la Svizzera.

Ad aspettarla, nella loro casa di Carpenedo, c’erano i genitori, che le sono sempre stati vicini, affrontando con lei questo calvario. Sono tanti i ricoveri che, nel corso degli ultimi anni, la ragazza ha dovuto affrontare. Proprio per uscire dal tunnel, era stata lei stessa, questa estate, a rivolgersi a un centro specialistico. Poi il malore che le è stato fatale, il ricovero nell’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, dove è mancata mercoledì.

La notizia della scomparsa della giovane è immediatamente circolata tra i residenti di Carpenedo, che si stringono commossi intorno alla famiglia, chiedendo maggiore attenzione alle istituzioni su una malattia che ancora coperta da un velo di “impronunciabilità”.

Lo stesso velo che, in molte situazioni, spinge certe ragazze, alcune delle quali giovanissime, ad affrontare da sole questo difficile percorso, per la paura di un giudizio esterno, a volte persino per la vergogna. Per questo Antonella, mamma di una giovane che ha lottato fino alla fine come una leonessa, ripete il suo appello: «Ragazzi, fatevi aiutare». —



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