Licenziato per un ventilatore il giudice lo fa riassumere
Tutta colpa di un ventilatore portato sul posto di lavoro perché le temperature raggiunte nel magazzino erano bollenti: fino anche a 35 gradi, con una media attorno ai 29.
Per quel ventilatore, il dipendente è stato licenziato e la vicenda è finita davanti al Tribunale del lavoro che ora ha ordinato alla Triveneto Sicurezza srl, che si occupa di security all'aeroporto Marco Polo (sia ai varchi che nei magazzini dei corrieri espresso), di reintegrare il vigilante e pagargli dodici mensilità.
Il licenziamento, secondo la giudice Chiara Coppetta Calzavara, risulta infatti illegittimo per insussistenza del fatto contestato.
Una sentenza che arriva in un’estate altrettanto torrida.
La vicenda giudiziaria - che ora potrà avere un seguito davanti al giudice d'appello, se la società farà ricorso - trae origine da un ventilatore che il dipendente aveva portato al lavoro per combattere la calura. Elettrodomestico che, secondo la Triveneto Sicurezza, non era stato però autorizzato. E quindi non poteva essere utilizzato. Il lavoratore ha sostenuto invece di aver avuto l'ok da un superiore e che comunque fosse prassi portare ventilatori d'estate e stufette d'inverno.
Nel corso di un'ispezione - quando il vigilante era destinato ad un altro magazzino - il ventilatore era stato trovato e “sequestrato”. Quando il lavoratore dopo alcuni giorni era tornato al suo posto, non aveva potuto non notare la mancanza. Nessuno apparentemente sapeva alcunché sulla fine fatta dall'apparecchio. E così il vigilante aveva presentato denuncia per furto.
Dopo alcuni giorni, il lavoratore era stato convocato dal responsabile, nel cui ufficio c'era il ventilatore della discordia. Il superiore voleva restituire l'elettrodomestico al dipendente e nel contempo contestargli una sanzione disciplinare per aver portato in magazzino un apparecchio non autorizzato. Il vigilante si era rifiutato di ritirare sia il ventilatore sia la sanzione disciplinare. Anzi, era tornato dalle forze dell'ordine per una integrazione della denuncia, specificando che il suo elettrodomestico si trovava nella stanza del capo.
È stato a questo punto che Triveneto Sicurezza ha provveduto a licenziare il vigilante sostenendo che si fosse comportato in modo arrogante con il superiore e che avesse voluto creargli un danno con l'integrazione della querela.
La giudice Coppetta Calzavara evidenzia come l'unico illecito disciplinare commesso dal lavoratore sia stato quello di non aver ritirato la contestazione per l'introduzione “abusiva” del ventilatore. Scrive il Tribunale che «ussiste l'obbligo del lavoratore di ricevere sul luogo di lavoro le comunicazioni a lui dirette senza costringere il datore di lavoro all'invio a mezzo lettera raccomandata». Detto questo, non si tratta di un comportamento così grave da essere punibile con il licenziamento.
Corretto è stato, invece, il non aver voluto ritirare il ventilatore senza il rilascio di una ricevuta: il vigilante, sottolinea la giudice, avrebbe rischiato l'accusa di simulazione di reato o calunnia.
Il lavoratore, evidenzia ancora la giudice, «non ha riferito nella denuncia e nell'integrazione alcuna circostanza falsa». Emerge per contro un comportamento della Triveneto Sicurezza «non improntato a correttezza e buona fede». Nessuno, infatti, aveva detto al vigilante dove fosse finito il suo ventilatore.
Dunque licenziamento annullato. La sentenza potrà essere impugnata in Appello. —
Rubina Bon
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