In mille al corteo per il lavoro

I racconti degli operai: «Tagliano i posti in Italia solo per spostare tutto in Cina»
Di Felice Paduano
CARRAI - PROTESTA ALLA SAFILO
CARRAI - PROTESTA ALLA SAFILO

PADOVA. L’appuntamento davanti ai cancelli della Safilo, in coincidenza con lo sciopero di quattro ore contro i mille esuberi indetto da Filctem-Cgil, Femca-Cisl ed Uilta-Uil, è fissato per le 13.30. Ma già alle 12.40, all’ingresso che si affaccia sul raccordo Gandhi che porta all’autostrada, dove entrano ed escono i dirigenti, protestano a muso duro oltre duecento dipendenti, tra cu tantissime donne.

Ma con l’arrivo delle corriere da Santa Maria di Sala e da Longarone i manifestanti, nonostante la pioggia incessante, arriveranno a mille.

Vicino alla casetta del portiere, sette lavoratrici espongono uno striscione con su scritto «Delocalizzare: un mondo di sfruttati cinesi che producono per i disoccupati veneti».

Colorati e pesanti anche gli altri cartelli, come «Più operai efficienti, meno dirigenti», oppure «I posti di lavoro non si toccano», e «Noi operiamo fone che?». Una frase breve ed amara che, in dialetto bellunese, significa «Noi operai cosa facciamo?», alludendo, naturalmente, al rischio di spostare altra produzione nella fabbrica di Suzhou, nella Cina meridionale.

«Dove andrò se perderò il posto?», dice Emanuela Bertelle, «in famiglia lavoriamo in due, ma che fatica già oggi andare avanti a testa alta con 440 euro da pagare all’asilo nido per il secondo bambino e con il primogenito da mandare alla scuola elementare».

Elisabetta Tommasin svela, invece, particolarità che conoscono soltanto gli addetti ai lavori. «Ma lo sapete che tanti dei prelavorati che arrivano dalla Cina li dobbiamo rottamare ed eliminare subito perché sono stati fatti male o la qualità è scadente? Sapete che con gli stipendi di dieci persone tra quadri e dirigenti si potrebbero assumere minimo cento operai?».

Pochissimi i politici presenti. Tra questi anche il consigliere regionale del Pd, Piero Ruzzante, e Gilberto Gambelli, leader dei Comunisti italiani. «La lotta dei lavoratori della Safilo, dove si vuole licenziare un dipendente su tre con l’obiettivo di trasferire un’altra grossa fetta di produzione in Cina, deve diventare una protesta simbolo di tutti gli operai e impiegati delle aziende venete che vogliono continuare a lavorare sul territorio e si oppongono ad altre delocalizzazioni nel sudest asiatico», dice Ruzzante, «Zaia sbaglia quando sostiene che bisogna già muoversi per concedere la cassa integrazione ai licenziandi. Prima si deve fare di tutto per conservare il lavoro privilegiando l’innovazione tecnologica e la qualità del prodotto».

«Lavoro in ufficio in Safilo da 21 anni», racconta un dipendente, «il mio stipendio sfiora i 1.400 euro. Da anni le cose vanno di male in peggio. L’anno scorso ci hanno anche tagliato il premio di risultato, con 500 euro in un anno. Il ritiro del marchio da parte di Armani è solo una scusa. La verità è una sola: la proprietà, che ha la testa ad Amsterdam, ha già deciso di spostare quasi tutto in Cina, dove un operaio prende meno di cento ore al mese».

Fabio Aiello, campano di nascita, arriva da Santa Maria di Sala. Domenica è andato a lavorare alle 23.30. Avrebbe dovuto lavorare fino alle 6 del mattino successivo, ma è andato via alle 3 per lo sciopero e in vista della manifestazione e del corteo di Padova concomitanti con la trattativa. «Ho tanti anni di esperienza alla Safilo», racconta Aiello, «ho lasciato la mia terra solo per lavoro. Ma dopo anni lontano dagli affetti, rischio di perdere anche quello. Sono veramente preoccupato».

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