«La fotografia, la mia vita». I novant’anni di Ferrigno a Venezia

Celebrato il compleanno del professionista Luigi “Gigi” Ferrigno che lavorò con Berengo Gardin, il suo archivio donato alla Querini Stampalia: «La Venezia di oggi è una città che non conosco»

Maria Ducoli
Ferrigno con la figlia Anna, ai lati la nipote Beatrice e il compagno Ares
Ferrigno con la figlia Anna, ai lati la nipote Beatrice e il compagno Ares

Ha spento 90 candeline nella sua casa alla Guglie, circondato dall’affetto della sua famiglia e degli amici di una vita, il fotografo Luigi “Gigi” Ferrigno. Da quando ha perso la stabilità delle gambe ha abbandonato la macchina fotografica, ma i ricordi più belli sono proprio quelli dietro l’obbiettivo.

I primi scatti a cavallo tra il 1959 e il 1960, con Gianni Berengo Gardin, scomparso lo scorso agosto. «Abbiamo iniziato insieme», racconta Gigi, «ci davamo appuntamento alle Fondamente Nove per andare a Burano, dove fotografavamo le case misere dei pescatori, ma anche le fabbriche, dove lavoravano tantissimi bambini. Eravamo saliti insieme sui campanili dei Carmini e a Burano, per fare delle foto dall’alto».

Una fotografia impegnata, sociale, la definisce Ferrigno, con cui per una vita intera ha raccontato i veneziani. «Ora sarebbe diverso, con la privacy non si possono fare più le foto che preferivo, quelle della vita di tutti i giorni, delle persone per strada», sospira. Una vita a lavorare prima negli alberghi e poi nella vetreria Aureliano Toso, a Murano, ma sempre con la macchina fotografica vicino.

Gigi Ferrigno ha scelto l’obbiettivo come lente per documentare le trasformazioni della sua città, decidendo, poi, di donare il suo archivio alla Querini Stampalia. «

Oggi mancano i rumori e gli odori di un tempo, dai tabacchi all’arrotino», aggiunge, «vedo una città allo sbando, in balia del turismo di massa e degli addii al nubilato e celibato. Non è più la città che conosco». Eppure, è ancora la città che ama. E non c’è giorno che, con il deambulatore o con la figlia Anna, Gigi non vada a passeggiare a Cannaregio, a trovare i suoi amici al Ghetto e in fondamenta. E se il prossimo traguardo fossero i cento anni? «Basta non diventare rimbambiti, che io in casa di riposo non ci voglio mica andare» risponde sorridendo.

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