Dall’asfalto nascono i fiori. Scorci nascosti di via Piave

Una macchina foto “usa e getta” e la voglia di riscoprire il quartiere in cui si vive
In mostra al centro Candiani le immagini conclusive del laboratorio “Reporting”

MESTRE. Qualche volta dall'asfalto nascono fiori. Accade quando nel quartiere più “difficile” della città, si scorgono scorci di poesia e memoria che al primo sguardo erano sempre sfuggiti. Per aiutarci a ritrovarli il gruppo di lavoro Reporting via Piave, finanziato da un progetto europeo e assistito dall'associazione Sottobosco, ha allestito la mostra conclusiva del progetto fotografico visibile da domani al centro culturale Candiani (inaugurazione alle 18) dove rimarrà fino al 23 giugno. Con i 27 scatti a disposizione ogni partecipante ha deciso di ritrarre via Piave privilegiando temi, elementi e chiavi di lettura ogni volta diversi e maturando una propria personale esperienza del quartiere.
Ispirato al film di Paul Auster e Wayne Wang, “Smoke”, il lavoro di Claudia Faraone, ad esempio, si è soffermato sull'osservazione del flusso di passanti, nell'arco di due ore, all'esterno e poi all'interno di un negozio di tabacchi nei pressi della stazione. Le persone, che appartenevano a gruppi sociali diversi, venivano così ritratte mentre svolgevano identiche azioni quotidiane, come acquistare le sigarette, o giocare al gratta e vinci. Anziane donne sole e gruppi di giovani immigrati sono perciò immortalati nei medesimi atteggiamenti e, nonostante le palesi differenze, in quell'attimo risultano tutti uguali.
Le immagini di Alice Musi si presentano invece come dei dittici che confrontano ogni volta i due diversi approcci utilizzati: del pubblico, dal marciapiede con le erbacce incolte; il privato, dall'alto dei balconi, dove si scorge il panorama, la vista dell'insieme. «Per scattare», racconta Alice, «sono salita più in alto che potevo, sui tetti condominali e nelle terrazze di amici e conoscenti che mi hanno aperto le porte delle loro case e del loro sguardo sul quartiere. Per poi tornare giù a ritrarre l'altro paesaggio, quello comune a tutti, della strada».
L'esposizione di Paolo Grazioli si intitola “Fusion” e consiste in una linea di immagini della lunghezza di quattro metri. L'una al fianco dell'altra, come in un discorso senza fine, le fotografie contengono giardini e proprietà private chiuse dietro al medesimo elemento, un vecchio cancello in ferro. «Quel tipo di cancellata è singolare», spiega Paolo, «si ripete in tutti gli insediamenti originari della zona. In un certo senso costituisce l'identità immutata del quartiere. Mettendo in fila le immagini, ho voluto creare una sorta di giardino immaginario dentro al quale si può scegliere di barricarsi per difendersi da ciò che non si conosce e che spaventa, o che si può al contrario pensare di aprire, lasciandosi contaminare dalla modernità». Perché anche questo è via Piave.
 

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