«Così pagai il medico Spisal». Ma Guidi minimizza

Al processo per corruzione contro l'avvocato D'Alessandro, Abbadir racconta
Il pm Paola Mossa sostiene l’accusa contro l’avvocato
Il pm Paola Mossa sostiene l’accusa contro l’avvocato
 Mentre l'imprenditore della Riviera del Brenta Marino Abbadir (era titolare della ditta «Eureka» di Marghera e del laboratorio di analisi «R&C Scientifica» di Altavilla Vicentina), che ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi di reclusione grazie alla sua collaborazione, ha ammesso di aver pagato per ottenere incarichi e lavori, il medico e funzionario dello Spisal dell'Asl 12 Massimo Guidi, che di anni di carcere ne ha patteggiati tre, ha cercato di girare intorno alle domande fatte dal pubblico ministero Paola Mossa, si è confuso, ha ricordato poco. Ieri, sono stati interrogati entrambi e per la prima volta in aula, davanti al Tribunale di Venezia che sta giudicando l'avvocato Paola D'Alessandro, accusata di corruzione assieme al direttore del laboratorio vicentino Emilio Urbani.  Ieri Abbadir ha spiegato che a Guidi pagava le bollette del cellulare e inoltre gli avrebbe passato 50 mila euro per non vedersi bloccare i cantieri e perché la ditta e il laboratorio ottenessero lavori per le bonifiche da amianto. Guidi, invece, ha iniziato sostenendo «di non aver mai preso una lira», poi ha ammesso che Abbadir gli regalò un computer portatile e anche un cellulare. «Mi aveva anche proposto di pagarmi la bolletta perché mi utilizzava come consulente» ha detto. Ha spiegato che con lo stipendio che aveva, da notare che era vicedirettore dello Spisal, non poteva permettersi il telefonino.  Pr quanto riguarda i 50 mila euro, ha spiegato che non erano per lui, ma per una collega che era in difficoltà. «Ma non li ha mai restituiti?» ha chiesto il pm Mossa e lui ha dovuto dire di no. Però ha spiegato di non aver mai aiutato Abbadir sul lavoro, che il loro era un rapporto di amicizia e quello che ha riferito lui sarebbe falso. Per quanto riguarda la sua ex compagna, l'avvocato D'Alessandro, ha sostenuto che sì, lui la consigliava alle ditte che avevano bisogno di un legale esperto in diritto ambientale, ma di non aver mai fatto pressione perché la scegliessero. L'accusa, invece, sostiene che sarebbe stata più volte imposta col ricatto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia