Cosa vedere al cinema questa settimana

Con le recensioni dei nostri critici Marco Contino e Michele Gottardi
vizio di forma
vizio di forma

VENEZIA. Queste le recensioni dei nostri critici Marco Contino e Michele Gottardi dei nuovi film nelle sale questa settimana.

 

"VIZIO DI FORMA"
Lo spartiacque tra due epoche che sono nel tempo e nell’anima

“Vizio di forma” di Paul Thomas Anderson potrebbe sembrare un film minore se paragonato alla riflessione proto-capitalista di “Il petroliere” e alle derive mistico-esistenziali incistate nel dopoguerra di “The Master”. Non è così. Il settimo lungometraggio di PTA è grand(e)ioso proprio nella misura in cui da una storia apparentemente piccola allarga il suo sguardo a un’epoca. Meglio, a una transizione temporale, dell’anima. Se è vero che il film si apre e si chiude con una inquadratura fissa, rispettivamente, sullo scorcio dell’oceano tra due case di Gordito Beach in California e sugli occhi del suo protagonista, in mezzo PTA racconta l’America. Anzi le americhe. Quella della controcultura hippie, avvolta dalle nebbie della marijuana, intenta a succhiare gli ultimi scampoli di fumo da mozziconi di sigaretta sempre più piccoli, mentre i piedi lerci tornano a toccare terra dopo il lungo surfing allucinato degli anni ’60. E quella dei “seventies”, della paranoia di sistema, dell’eroina, delle speculazioni immobiliari, di Nixon e di Charles Manson, più volte citato come spartiacque tra l’innocenza e il traumatico risveglio. Tocca al detective privato Doc Sportello (Joaquin Phoenix), il protagonista del film e, prima ancora, delle pagine fittissime dell’omonimo romanzo di Thomas Pynchon - che Anderson ha avuto l’ardire, primo tra tutti, di trasporre sullo schermo - attraversare quella frontiera temporale con un senso di malinconica rassegnazione, incontrando, forse per l’ultima volta, gli epigoni strampalati di un mondo che sta per svaporare. A metà strada tra un Marlowe e un Lebowski, Doc cede alla richiesta della sua ex Shasta di proteggere l’amante di lei, un tycoon del mercato immobiliare che pare essere stato inghiottito nel gorgo di relazioni tra fratellanze ariane, pantere nere, trafficanti di droga, dentisti strafatti, poliziotti frustrati, un sassofonista spione e un misterioso vascello ormeggiato in rada. Prima che vederlo (e seguirlo), “Vizio di forma” si sente, si avverte, mentre, da singoli quadri inocula il suo fascino di colori densi e di primissimi piani pronti a esplodere in nuove coralità altmaniane e, soprattutto, nella dialettica tra Doc e la sua nemesi, il poliziotto Big Foot (Josh Brolin, strepitoso). Ognuno dei personaggi ha il vizio intrinseco del titolo: è lo stesso difetto di quegli anni in cui ciò che faceva paura era, tutto sommato, nulla rispetto a ciò che sarebbe avvenuto e ciò che avverrà quanto una pioggia di rane seppellirà la San Fernando Valley. Durata: 148’. Voto: ****½

"MERAVIGLIOSO BOCCACCIO"
Dai Taviani un altro Boccaccio e qualche dubbio

Il “Decameron” ha avuto numerose versioni cinematografiche, la più celebre quella di Pasolini del 1971, ma è stato anche spesso letto nella sua deriva erotica, che il cinema italiano ha sfruttato dando vita a film “boccacceschi”, soprattutto negli anni ’70. L’intento dei fratelli Taviani con il loro “Maraviglioso Boccaccio” è quello, invece, di dar spazio a un’immagine iconografica del periodo storico e del paesaggio italiano quale esce dai ritratti di Piero della Francesca e dagli affreschi dei palazzi trecenteschi. Un’operazione colta e insieme divulgativa grazie alla presenza di molti giovani del cinema italiano, presenze disparate da Riccardo Scamarcio a Kim Rossi Stuart, da Paola Cortellesi a Jasmine Trinca, protagonisti delle cinque novelle raccontate da un gruppo di giovani, usciti freschi da qualche accademia. Il film segna un passo indietro rispetto alla forza di “Cesare deve morire”, scolastici i raccordi dei dieci giovani scappati in campagna per salvarsi dalla peste (e banale il tentativo di attualizzare il linguaggio), non omogenei i cinque inserti - al di là di una cura formale delle inquadrature, degli interni, del paesaggio e qualche primo piano molto pittorico - privati della forza drammatica e sarcastica del loro cinema. Boccaccio resta così poco più di uno spunto Durata: 123’. Voto: ** ½

Un frame de Il decameron
Un frame de Il decameron

“IL SETTIMO FIGLIO"
La parte più horror è la sceneggiatura

Mettere insieme un cast importante, un regista russo come Sergej Bodrov, una produzione internazionale ad alto budget e uno scenografo come Dante Ferretti per poi realizzare un film come “Il settimo figlio”, è come sperperare un capitale al gratta e vinci. La pellicola, tratta molto liberamente dai romanzi dark di Joseph Delaney, è intempestiva e piatta: una sorta di fantasy-horror che spaventa più per i buchi di sceneggiatura che per il campionario di streghe, trasformazioni e autocombustioni di cui è popolata. La storia è quella del Maestro Gregory (Jeff Bridges) alla ricerca di un nuovo apprendista che affronti mostri, fantasmi ma, soprattutto, la terribile strega Madre Malkin (Julianne Moore). Il discepolo deve, però, avere una caratteristica: essere il settimo figlio di un settimo figlio L’impressione è che Bodrov non creda nel progetto nemmeno per un secondo. E il pubblico con lui. Durata: 102’. Voto: *

Il Settimo Figlio
Il Settimo Figlio

"UN PICCIONE SEDUTO SUL RAMO RIFLETTE SULL'ESISTENZA"
L’apologo estremo di Andersson

Oltre alla giuria della mostra di Venezia 2014, che gli ha riconosciuto a sorpresa il Leone d’oro, sarebbe piaciuto anche a un filosofo come Søren Kierkegaard l’apologo estremo di Roy Andersson denso di un umorismo apocalittico, di una comicità dell’assurdo molto nordica. “Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza” scava sul finto buonismo degli umani, del presunto “homo sapiens”, scavalcando la narrazione tradizionale a favore di uno spaccato minimalista, dove l’ambientazione richiama la fredda Scandinavia o gli ex paesi del socialismo reale. Come dei tableaux vivants, in un grigiore diffuso, due ancor più grigi signori cercano di vendere oggetti per far divertire, canini da dracula, maschere di vecchi senza denti, scatolette che ridono. Con risultati fallimentari. E mentre tutti si complimentano al telefono con lo stato positivo di salute dei propri interlocutori (“mi fa piacere che le cose vi vadano bene”), gli uomini continuano le loro inutili cattiverie, incapaci di ragionare sull’esistenza quanto un piccione seduto su un ramo. Beffandosi della storia Andersson ne prende in giro gli artefici, inutili quanto i protagonisti della più anonima quotidianità, rileggendo anche momenti tragici come le guerre di Carlo XII, re guerrafondaio, o l’occupazione nazista .  Durata: 101’. Voto: ***

Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza
Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza

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