Coge Mantovani azienda fantasma Liquidati gli ultimi cinque addetti

Il racconto di un’impiegata che ricostruisce l’ultimo anno «Stavamo seduti davanti al pc facendo finta di lavorare» 



«Non facevamo nulla. Le nostre giornate? Seduti davanti al computer sui Social oppure a navigare in Internet o, ancora, appoggiati alla scrivania per leggere un libro. Ogni tanto andavamo alla macchinetta a bere un caffè. Ma un giorno sono stata ripresa da un consulente che si spacciava per direttore generale: “Leggiti un libro, fai quello che vuoi ma non andare in giro e resta chiusa in ufficio”».

Chi parla è un’impiegata (anzi, quasi ex) di Coge Mantovani Costruzioni Generali, fino a un anno fa 116 dipendenti, oggi un’azienda fantasma ormai sull’orlo del baratro. Già fantasma: nella sede di Padova, in via Belgio 26, non c’è anima viva.

Resta uno scheletro

Uffici vuoti. Deserti. Dopo tre settimane di pausa feriale, anche agli ultimi cinque dipendenti rimasti in forze è arrivata la comunicazione: «Lei sarà considerato in permesso retribuito a carico dell’Azienda e pertanto non tenuto alla presenza presso la sede di lavoro». La firma è dell’amministratore unico Manuela Maria Ferrari. Lavoratori “pagati” per restare a casa. Non cambia molto visto che, prima, erano “pagati” per restare chiusi in ufficio senza far nulla. Anche se, via via, quando è stato chiaro che la nuova proprietà stava marciando verso il nulla, chi aveva un’alternativa si è dimesso. E gli altri? Chi prima e chi dopo, ha firmato l’istanza per chiedere il fallimento di Coge Mantovani con l’obiettivo, almeno, di recuperare gli stupendi (tredicesima compresa) mai incassati dallo scorso dicembre e il tfr (trattamento di fine rapporto). E come l’atto veniva notificato ai vertici Coge Mantovani, ecco la sospensione (retribuita, si fa per dire).

la strana cessione

Continua la dipendente: «Fin da subito ci siamo resi conto che le cose non andavano come avrebbero dovuto». Un passo indietro. Agosto 2018: é appena diventato operativo il contratto di affitto del ramo d’azienda nel settore costruzioni e opere marittime siglato tra l’impresa E. Mantovani spa (capitale sociale 50 milioni di euro), portata al successo dal padovano Romeo Chiarotto, e Coge Costruzioni srl (sede legale a Milano e capitale sociale 10 mila euro). Mantovani spa (compreso il suo presidente Piergiorgio Baita, “defunto” e già risorto come consulente aziendale nel Chioggiotto) era stata travolta dallo scandalo Mose: estromessa da tutti i lavori pubblici su Venezia, l’impresa è ormai priva di appoggi politici. Il ramo costruzioni e infrastrutture è acquisito per la durata di 60 mesi da Coge Costruzioni srl (la new company sarà denominata Coge Mantovani). Il prezzo pattuito è di un milione e 200 mila euro annui da pagare a rate. Rate che non saranno mai saldate, e non solo: «I lavoratori che, per contratto, avevano diritto all’auto, hanno continuato a usarla. La vecchia Mantovani ha sempre pagato i canoni del noleggio così come le utenze» osserva la dipendente. Perché? «Non siamo mai riusciti a capirlo. Certo è che se ti affitto la casa e non mi paghi il canone di locazione, io non ti pago anche le bollette... Eppure succedeva così». La speranza, però, era l’ultima a morire: «Pensavamo di poter seguire la strada di Sacaim (storica impresa veneziana salvata grazie all’acquisizione nel gruppo friulano Rizzani De Eccher)... All’improvviso era apparsa all’orizzonte Coge e lo scoglio dei pignoramenti presso terzi e dei decreti ingiuntivi, forse perché alle spalle c’era un’importante banca d’affari, è stato superato. Si vociferava che l’amministratrice unica fosse esponente di una nota famiglia monzese di imprenditori. Nell’ambiente, invece, nessuno la conosceva.... Lei arrivava in azienda ogni mattina, si chiudeva in ufficio con quel consulente che si spacciava per direttore generale e chissà che cosa facevano».

Il curriculum di John

Chi era quel sedicente direttore generale? John Gaethe Visendo, 55enne imprenditore di origine napoletana trapiantato a Bergamo, arrivato nel 2014 nel Brescia Calcio con la nomea di “ristrutturatore su mandato di un fondo asiatico”. Un’avventura non andata benissimo: quello che sembrava l’affare del secolo per il club calcistico, è finito in tribunale con Visendi denunciato per truffa (accusa da lui sempre respinta). Nel frattempo Visendi è a processo davanti al tribunale di Cagliari per il crac da 130 milioni di euro del gruppo editoriale Epolis (fondato da Niki Grauso), società che ha pubblicato il quotidiano gratuito in tante città italiane (pure a Padova), salvo poi chiudere i battenti e lasciare i giornalisti sulla strada. Non basta: Visendi è stato condannato per bancarotta a San Marino come amministratore di Levante srl, società che aveva in gestione la licenza dell’ex Queen Outlet, naufragata nei debiti. Strana la gestione della “nuova” Coge. «Mai visto il verbale di un consiglio di amministrazione. Mai visto un Sal (documento che attesta lo stato avanzamento lavori)» racconta l’impiegata.

E chi li conosce

«Da mesi si parla di un investitore pachistano che è stato in visita (l’imprenditore e politico Sami Ullah Khan Burki) o forse più di uno» spiega la lavoratrice, «Ma la visita sembrava una manifestazione di interesse, nulla di più».

Davanti al tribunale di Padova c’è il nodo del fallimento. A ogni udienza Visendi, chiedendo proroghe, ha parlato di una ricapitalizzazione e di cantieri aperti in Mali e Pachistan. Protesta l’impiegata: «Chissà perché sempre in posti dove è impossibile fare verifiche. È un caso? I soldi promessi, un milione e 200 mila euro di stipendi arrestati e Tfr (e c’è chi avanza oltre 100 mila euro di liquidazione) non sono mai arrivati. Non abbiamo neanche ricevuto una telefonata e la data del 12 settembre si avvicina». Quel giorno il tribunale deciderà. Domanda: come mai per un anno è stata tenuta in piedi un’impresa fantasma? Chi aveva interesse a farlo? —

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