Clan Bolognino, condanne per 116 anni Confische per 15 milioni agli imprenditori

Tredici anni e 4 mesi per Michele, 6 per il fratello Francesco. Puniti anche Biasion e Lovo, capi delle società cartiere
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.BOLOGNINO SERGIO.
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.BOLOGNINO SERGIO.

VENEZIA

Condanne per oltre 116 anni e somme da confiscare per più di 15 milioni di euro, in buona parte nei confronti di quegli imprenditori veneti che, secondo la procura e il tribunale di Venezia, si sono messi a disposizione del clan Bolognino, collegato alla famiglia calabrese di ‘ndrangheta, Grande Aracri. Ieri è arrivata la sentenza per 35 imputati che hanno scelto la strada del rito abbreviato (con la riduzione di un terzo della pena) nell’inchiesta Camaleonte – altri 14 imputati sono a dibattimento al tribunale di Padova - sull’associazione di stampo mafioso e sui rapporti con alcuni imprenditori veneti accusati di aver partecipato in episodi di usura, riciclaggio, minacce e fiumi di fatture false tra le province di Venezia, Padova, Treviso e Vicenza. Per riciclare il denaro fatto in Calabria.

Trentadue le condanne, le più pesanti riguardano proprio i fratelli Bolognino, che avevano casa a Tezze sul Brenta. Michele, ritenuto a capo dall’organizzazione e già condannato nel processo Aemilia, è stato condannato dal giudice Luca Marini a 13 anni e 4 mesi – così come era stato richiesto dal pubblico ministero della procura antimafia Paola Tonini – mentre il fratello Francesco a 6 anni e 4 mesi. Nei confronti della figlia di Sergio (imputato a Padova, ritenuto l’altro boss dell’organizzazione), Noemi Andrea Bolognino, per la quale la procura aveva chiesto una condanna a 1 anno e 5 mesi, il tribunale ha deciso invece il non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. Condanne pesanti anche per colui che è ritenuto essere il commercialista del clan, Donato Agostino Clausi (12 anni e 6 mesi, in continuazione), di Crotone, e gli imprenditori veneti coinvolti nell’inchiesta della procura. Adriano Biasion, di Piove di Sacco, è stato condannato a 3 anni e nei suoi confronti è stato disposto la confisca di oltre 5 milioni e 200 mila euro per il profitto da reati tributari e da riciclaggio.

Due anni invece Leonardo Lovo, di Campagna Lupia, più la confisca di 5 milioni e 200 mila euro. Entrambi – ha ricostruito la procura, con indagini affidate al comando provinciale dei carabinieri di Padova – erano agli ordini dei Bolognino per il giro di fatture false, e la cassaforte del nero. Proventi realizzati tramite società cartiere come la Biasion group e Biasion Adriano Srl, nel campo dell’edilizia. Inoltre i due erano amministratori di fatto di decine di altre società fittizie. A parlare di un giro di riciclaggio di denaro sporco, per somme di almeno 200 mila euro al mese - era stato nel corso delle indagini il pentito Giuseppe Giglio. Un giro del quale faceva parte anche l’imprenditore F. S., di Mestre, al tempo attivo nel settore alberghiero (titolare di palazzo Giovannelli, hotel sul Canal Grande) e dei lavori ferroviari, tramite la Segeco. La sua posizione è stata stralciata, dopo che ha pagato 5 milioni al Fisco e ha collaborato con gli inquirenti. Nel filone delle fatture false ieri è arrivata la condanna anche per altri due padovani: Federico Schiavon (1 anno, pena sospesa più la confisca di 22 mila euro) e Loris Zaniolo (1 anno, pena sospesa e 15 mila euro di confisca). Infine 6 anni, 2 mesi e 20 giorni nei confronti di Tobia De Antoni, di Fossalta di Portogruaro, ritenuto uno dei picchiatori usati per riscuotere i debiti con saldati al soldo di Mario Vulcano (condannato a 4 anni e mezzo nello stesso procedimento), che in Emilia rappresentava i Bolognino e la cosca Grande Aracri. «Io sto facendo il mafioso qua», dice una delle frasi intercettate dagli inquirenti nel corso delle indagini, mentre è in fase di recupero crediti. Il Gup ha condannato anche Biasion e altri a risarcire i danni subiti dagli imprenditori che si sono costituiti parte civile, tra i quali i trevigiani Stefano Venturin (provvisionale di 150 mila euro) e della moglie Maria Giovanna Santolini (altri 150 mila). —


 

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