Cineprime del weekend

ALABAMA MONROE
Il cerchio d’amore spezzato da un dolore inaccettabile
“La guerra è dichiarata” è il titolo di un (bel) film francese di qualche anno fa: storia (peraltro realmente vissuta dai protagonisti) di una coppia di genitori che affronta con inesauribile determinazione il tumore al cervello del proprio figlio di 18 mesi. Allora, nella finzione come nella realtà, finì bene. Ma non sempre le guerre si vincono. Anzi, spesso si concludono in un giorno di pioggia, con uomini vestiti di nero, mentre fango e fiori bianchi coprono una bara troppo piccola. “Alabama Monroe - Una storia d’amore” (che ha conteso a Sorrentino l’Oscar per il miglior film straniero) ci accompagna coraggiosamente nel dramma di Elise e Didier e della loro figlia Maybelle, colpita a sette anni da un cancro al midollo che ne calpesta la vita. Parlare di malattia, soprattutto quando ne sono colpiti i bambini, non è mai facile. Nemmeno al cinema. C’è bisogno di un diaframma, di una impercettibile ma essenziale distanza tra la macchina da presa e lo strazio, sordo, della perdita. Ne “La guerra è dichiarata” era l’ironia a disinnescare e addolcire gli spigoli più affilati della realtà/finzione. In “Alabama Monroe”, il regista belga Felix Van Groeningen sceglie il melò e la musica per raccontare il dolore senza spiegazioni che frantuma il cerchio d’amore tra Elise (Veerle Baetens) e Didier (Johan Heldenberg). Lei, tatuatrice esuberante che scrive compulsivamente sul proprio corpo amori e passioni di una vita. Lui, cowboy sgualcito e un po’ vintage con il mito dell’America che vive in una roulotte nella campagna belga tra polli e cavalli e suona musica bluegrass (il country nella sua forma più pura) con un manipolo di “bifolchi” come lui. Si innamorano. Poi, tra i colori caldi di una relazione che ha l’incedere dolce di una ballata, tra le corde pizzicate di un banjo che vibra di passione, si insinuano il bianco abbacinante di stanze sterili di ospedale e le superfici glabre della chemioterapia. E gli opposti che prima si attraevano, ora si respingono. Elise, ora, guarda alla stelle e agli uccelli. Didier schiuma di rabbia e urla contro i “creazionisti” la sua disperazione “evoluzionista”. Il fuoco del film, che corre avanti e indietro nel tempo, alternando e smontando frammenti di vita presente e passata, si sposta su un’altra forma di dolore, quella della separazione che segue la perdita. “Alabama Monroe” (il perché del titolo lo si scopre nell’ultima inquadratura), anche quando vuole strafare - come nella insistita allucinazione finale - rimane un film profondamente generoso e sincero, fatto di corpi e di musica, di terra e di stelle, di vita e di morte.
Durata: 100’. Voto: ****
GERMAN DOCTOR
La fuga di Mengele in Argentina
La storia del criminale nazista Josep Mengele ha dato spunto a qualche film (il più famoso è “Il maratoneta” di John Schlesinger) e a molte leggende, soprattutto per la sua lunga fuga in Sud America, conclusa con la morte, per cause naturali, in Brasile nel 1979. Ora Lucía Puenzo, esordiente figlia di Luis, regista de “La historia oficiàl” (Oscar 1985), in “The German Doctor” ricostruisce il periodo in cui Mengele si rifugiò in Argentina, tra Bariloche e Buenos Aires, coperto da una rete di fiancheggiatori imperniata sulle scuole tedesche della capitale e delle altre città o sulle cliniche di chirurgia plastica, che servivano da copertura agli ex gerarchi di Hitler. Con una forza descrittiva che si sofferma sugli sguardi dei protagonisti e del famigerato dottore, Puenzo mostra una storia di irretimento reciproco tra Mengele (Alex Brendemühl) e la famiglia argentina che lo ospita, un albergatore italiano con la passione delle bambole d’autore, una madre che aspetta due gemelli (e sa il tedesco) e altri figli tra cui una adolescente bionda con gli occhi azzurri che Mengele vorrebbe aiutare a crescere. C’è tutto il mondo criminale del medico nazista, compresa la seduzione, cui la regista argentina dà spazio mostrando come sia stata l’arma più utile a ipnotizzare le sue vittime.
Durata: 93’ - Voto: ***
THE ENGLISH TEACHER
La metamorfosi della professoressa
Commedia sulle metamorfosi, che non a caso ruota intorno al titolo della pièce teatrale che i protagonisti di “The English teacher” mettono in scena in una scuola della provincia americana. “La crisalide” è l’opera scritta da Jason, ex studente della Signorina Linda Sinclair (Julianne Moore) - docente di letteratura tanto appassionata e amata sul lavoro quanto sola fuori dalla scuola - che, per dimostrare il talento del giovane autore, si batte contro tutto e contro tutti: la diffidenza del preside e della scuola, il padre (Greg Kinnear) del ragazzo che lo vorrebbe avvocato, i suoi stessi principi morali (finirà per andare a letto con Jason, scoprendosi gelosa). Tutti, alla fine, si trasformano da crisalidi in farfalle. Craig Zisk dirige una commedia gradevole che si regge sulle spalle di Julianne Moore, perfetta zitella isterico- romantica capace, alla fine, di sorprendere persino la voce fuori campo del narratore.
Durata: 93’. Voto: **½
BRICK MANSIONS
Il riuscito remake di un regista esordiente
A prendere sul serio “Brick Mansions”, remake americano di Camille Delamarre dell’originale francese “Banlieue 13” di Pierre Morel, si corre il rischio di considerarlo banale. In realtà il film d’esordio del giovane regista (1979) molto deve al produttore e scrittore del film, Luc Besson, che produsse anche l’originale nel 2004. La cifra, stilistica e narrativa, è surreale e a questa lo spettatore deve sottomettersi per poter godersi lo spettacolo, in cui il montaggio e l’azione prevalgono sui dialoghi e la psicologia dei personaggi. Che sono tre: Paul Walker, co-protagonista con Vin Diesel dei “Fast & Furious”, scomparso in un incidente d’auto a 40 anni lo scorso novembre (il suo ultimo film sarà “Fast & Furious 7”, nel 2015), poliziotto puro e duro; David Belle, co-fondatore del parkour (disciplina di movimento metropolitano), che qui replica il suo ruolo di acrobata in lotta contro il crimine; e il rapper RZA (già in Jarmush) trafficante di droga e armi, che controlla un quartiere malfamato di Detroit, chiuso da un muro d’altri tempi. Ma il furto di una bomba dall’alto potenziale svela faide interne e giochi politici portando a alleanze inedite e a un finale a sorpresa, con un’infinita serie di inseguimenti acrobatici e moltissimo ralenti. Un bel film d’azione.
Durata: 90’ – Voto: **½
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia