Choc e sdegno nell’azienda agricola «Qui trattiamo il vino, non i latitanti»

Il direttore Passador smentisce tutto ma nella frazione Campodipietra spuntano le tracce di Centineo, amico del padrino 

Il reportage

Giorgio Barbieri

«Il boss dei boss nascosto in un’azienda vitivinicola di Salgareda? Mi sembra una cosa assolutamente fuori dal mondo». Le rivelazioni di un ex collaboratore di giustizia, Emanuele Merenda, secondo il quale il fantasma di Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra e latitante dal 1993, possa aver trovato rifugio per breve tempo nella Marca ospite di una Cantina di Salgareda, viene accolta con un mix di ironia e preoccupazione dal sindaco Andrea Favaretto.

«I miei nipoti sono preoccupati e mi chiedono se sono un boss della mafia», dice invece Vincenzo Centineo, lui sì residente a Salgareda e pure lui siciliano di Gangi, indicato dal pentito come l’uomo che ha organizzato nella Marca la latitanza di Messina Denaro. Secondo l’ex collaboratore di giustizia Centineo, finito agli arresti nel febbraio scorso nell’ambito dell’inchiesta sui casalesi di Eraclea e difeso dall’avvocato Guido Galletti, avrebbe organizzato la permanenza del boss dei boss in uno stabile di Campodipietra, frazione a pochi chilometri da Salgareda. «Centineo mi ha anche detto che ha ospitato Matteo Messina Denaro per quattro o cinque giorni a Campodipietra. La facciata è di colore giallo», ha spiegato Merenda agli inquirenti, come si legge nelle carte dell'inchiesta della Procura veneziana.

E passeggiando per la piccola frazione non si può non imbattersi nella “Cantina di Campodipietra” che, tra le altre cose, corrisponderebbe con le dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia. Poco distante, per la verità, c’è anche l’azienda “Vigna Dogarina”. Entrambe gialle ed entrambe di proprietà di Vi.V.o. Cantine, azienda costituita nel 2012 mediante la fusione tra la storica “Cantina Produttori Campodipietra” e la “Cantine Produttori Riuniti del Veneto Orientale”. Comprende ora sette centri di raccolta e vinificazione ubicati nelle province di Venezia e Treviso. «Mi sembra incredibile anche solo dover smentire una cosa del genere», spiega il direttore generale Franco Passador, «qui ci occupiamo solamente di vendere vino del territorio e lo facciamo con tutta la passione e l’impegno. Il dover parlare invece di fatti del genere è una cosa che dispiace».

A riprova del fatto che l’attuale gestione non può essere minimamente coinvolta in questa vicenda ci sono le date. Le dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia risalgono al 2014, mentre Vi.V.o. Agricola ha acquisito nell’agosto del 2016 la conduzione dell’azienda Vigna Dogarina Srl, protagonista indiscussa del panorama vitivinicolo trevigiano, votata alla vigna e ai suoi prodotti fin dai tempi della Serenissima Repubblica. Era stata un’operazione valutata attorno ai 16 milioni di euro che nell’ambiente vitivinicolo era stata considerata di grande impatto per tutto il territorio ai confini tra Treviso e Venezia. La superficie complessiva acquisita è di poco inferiore ai cento ettari di vigneti, ripartiti tra le più diffuse varietà del territorio.

Ma è il sindaco Favaretto a parlare a nome di tutta la comunità sconcertata per la possibile presenza preoccupante del boss indiscusso di Cosa Nostra, latitante da 26 anni ed erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano. «La nostra è una comunità tranquilla e non riesco neanche a immaginare una cosa del genere», afferma il primo cittadino, «non capisco proprio cosa possa essere venuto a fare proprio a Salgareda». Il sindaco Favaretto conferma però di avere presente Vincenzo Centineo, il presunto organizzatore della trasferta trevigiana di Messina Denaro. Per l’ex collaboratore di giustizia Centineo, commerciante d’auto, era in stretto contatto con Luciano Donadio, il presunto boss dei casalesi in Veneto. Da qui la presenza di Messina Denaro in zona.

Lo scorso settembre Centineo, 69 anni, era stato assolto dal tribunale di Pordenone dall’accusa di incendio doloso della villa di due assicuratori pordenonesi, Luca e Walter Scolaro, vittime di ricatti in stile mafioso. «Le parole di questo ex collaboratore di giustizia sono state giudicate totalmente inattendibili sia dalla Distrettuale antimafia di Trieste sia dai giudici di Pordenone», ha commentato ieri l’avvocato Galletti, legale di Centineo. Il quale dice di essere stato trascinato in questa vicenda senza colpe. «E i miei nipoti continuano a chiedermi se sono un boss della mafia». —

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