Carabiniere infedele a processo la difesa vuole smontare l’accusa

Chioggia. L’ex militare Nicola Marcato è accusato di corruzione e violazione del segreto d’ufficio Avrebbe fatto la spia a due banditi, rovinando le indagini su alcuni colpi ai bancomat della Riviera
Di Giorgio Cecchetti

CHIOGGIA. I legali della difesa, gli avvocati Paola Rubini, Franco Capuzzo e Capraro, hanno cercato di smantellare almeno in parte la tesi accusatoria, ponendo alcune domande ai marescialli dei carabinieri di Chioggia e Dolo che avevano compiuto le indagini sul conto del loro collega, il 43enne Nicola Marcato in servizio all’epoca dei fatti a Piove di Sacco e accusato di corruzione e violazione del segreto d’ufficio. È cominciato ieri, davanti al Tribunale di Venezia presieduto dal giudice Stefano Manduzio, il processo all’ex carabiniere e a Paolo Mosco (37 anni) e Alessandro Borino (30), entrambi di Campolongo Maggiore. Marcato è sospettato di aver dato informazioni importanti ai due, tanto che un’indagine su alcune rapine compiute ai danni dei bancomat della Riviera del Brenta fatti saltare col gas sarebbe fallita.

È dal febbraio del 2010 che gli investigatori dell’Arma tengono d’occhio Mosco, Borino e altri appartenenti ad una banda sospettata di aver messo a segno alcuni «colpi» ai danni dei bancomat di alcuni istituti di credito. A indicare alcuni dei nomi della banda un confidente, ritenuto molto attendibile, di un sottufficiale dei carabinieri che ieri ha testimoniato. Il sospetto sul conto di Marcato del pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto, che ne aveva chiesto anche l’arresto ottenendo un provvedimento di obbligo di dimora, è che il carabiniere infedele abbia rivelato a Mosco e Borino che tra loro c’era una «talpa» e che sull’auto di Mosco era stato piazzato un segnalatore gps (l’imputato dopo la rivelazione l’aveva rintracciato e distrutto). Il carabiniere, in cambio, avrebbe ottenuto cento euro in contanti e due telefonini.

Il maresciallo, ieri, ha spiegato che il confidente è stato gestito soltanto da lui, che quando lo incontrava redigeva una relazione sul luogo e sul contenuto del colloquio al suo superiore, al quale, avrebbe rivelato anche l’identità, ma soltanto a voce. Il sottufficiale ha ribadito più volte che neppure ai colleghi avrebbe mai rivelato l’identità della sua fonte. Ma ha spiegato che durante gli incontri con gli altri colleghi che si occupavano della stessa indagine, per appurare l’attendibilità delle informazioni raccolte grazie al confidente, avrebbe per ovvi motivi svelato alcuni particolari della sua vita, quale ambiente frequentava, i motivi dei suoi contatti con chi si trovava sotto controllo, particolari che potrebbero aver aiutato a identificare l’identità del confidente anche se lui non ne aveva mai rivelato nome e cognome.

Le domande della difesa hanno puntato a dimostrare che non solo l’esistenza del confidente, ma anche la sua identità era nota a più militari dell’Arma e non solo al maresciallo in questione e al suo superiore, il comandante della compagnia di Chioggia. Gli avvocati hanno insistito sul tipo di automobile utilizzata dal confidente e il maresciallo ha aggiunto che nelle sue relazioni scriveva che l’uomo si presentava guidando un mezzo particolare, una Range Rover. Ha concluso, infine, ribadendo di non aver mai retribuito il confidente in alcun modo, con soldi o con favori.

Terminati i testi dell’accusa, il Tribunale ha rinviato il processo al 28 aprile, giorno in cui verranno sentiti i testimoni della difesa e,se lo vorranno, saranno interrogati gli imputati.

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