A Jesolo la protesta degli Invisibili: «Noi, dimenticati da tutti»

Cuochi, camerieri, lavoratori del turismo e qualche albergatore veneziano «Siamo stati esclusi da ogni ristoro, per lo Stato praticamente non esistiamo»
CARRAI - TOMMASELLA - JESOLO - MANIFESTAZIONE LAVORATORI INVISIBILI
CARRAI - TOMMASELLA - JESOLO - MANIFESTAZIONE LAVORATORI INVISIBILI

JESOLO. Sono arrivati alla spicciolata, con i cartelli in mano : «Lavoratori invisibili». Nell’anfiteatro di piazza Aurora, sullo sfondo, i manifesti con gli articoli della Costituzione, l’articolo 1 sulla Repubblica fondata sul lavoro e il 38 sul diritto all’assistenza sociale. Di invisibili, o quasi, solo gli imprenditori che sono arrivati davvero in pochi tra le oltre 200 persone che si sono radunate al lido, ancora una volta, dopo circa 10 mesi dalla manifestazione che si era tenuta lo scorso anno a Jesolo paese.

Un successo per gli organizzatori, che hanno voluto far sentire anche la loro voce. C’era l’assessore Alessandro Perazzolo per il Comune, qualche consigliere comunale. E Roberto Dal Cin di Confapi Venezia, unico tra i vertici delle categorie: «Mi dispiace per la mancanza di un folto gruppo di operatori del settore e rappresentanti di categoria, che potevano manifestare con la loro presenza. In questo momento non si tratta di fare battaglie di parte, ma dobbiamo essere uniti».

Preso il microfono, la tensione si alza. Qualcuno se la prende con Zaia, quasi tutti puntano il dito contro i politici. Sabina Bellina è una delle promotrici, oggi come lo scorso anno, in paese. Polizia e carabinieri, distanze rispettate. «In dieci mesi non è cambiato niente», sbotta. «Io sono stata imprenditrice e adesso cameriera in hotel. Con la Naspi, ovvero la disoccupazione, arrivo a 200 euro al mese. Non possiamo andare avanti così. Per fortuna ho un figlio grande, che si arrangia, vivo con mio marito e assieme cerchiamo di resistere».

C’è un po’ di tutto nella piazza del lido, che si è riempita anche oltre le aspettative. La gente sta a casa, ha paura, non ha più la forza di gridare. Eppure Jesolo ha lasciato un segno, lo scorso anno come ieri sera. Perché di lavoratori invisibili ce ne sono tanti. Anche studenti universitari come Nicolas Celeghin, che deve mantenersi gli studi e che vive nell’incertezza, avendo saltato il periodo delle vacanze natalizie.

Antonino Consiglio, cuoco palermitano, ha lavorato in hotel la scorsa estate, solo due mesi e mezzo: «Ho preso 2 mila euro per quattro mesi, così non ce la faccio ad andare avanti». Con lui, la compagna Vanessa Minniti, anche lei palermitana, cameriera di sala in hotel. Insieme si dividono la Naspi, vivono a Jesolo da 5 anni e non sono più tornati a casa: «È dura vivere così, con i soldi contati, senza poter tornare a trovare i nostri genitori perché spostarsi è impossibile. E non abbiamo speranza nel futuro. A questo punto, chiediamo di lavorare in ogni condizione. In fondo, abbiamo sempre rischiato, non possiamo morire di inedia».

C’è anche un imprenditore, tra i pochissimi, albergatore di Eraclea, Luca Bortoluzzo. «Possiamo anche comprendere il momento di emergenza e di pericolo per l’epidemia, allora chiudiamo pure tutto, ma ci devono essere i ristori veri, concreti, puntuali e per tutti. Bisogna avere il coraggio di chiudere tutto e solo con le debite garanzie per il mondo dell’impresa e del lavoro. Se non facciamo questo, allora ci stanno solo prendendo in giro e non è più tempo».

Poi Denis Montino, storico ristoratore del Perla Nera, anche lui solidale con i lavoratori invisibili: «I problemi li stiamo vivendo tutti, noi che non possiamo aprire e i lavoratori che non possono essere assunti e non hanno più garanzie. Per questo sono qui a dare il mio contributo alla manifestazione».

In piazza Aurora sarebbe stato giusto vedere tanti altri imprenditori del turismo. Le incertezze ci sono anche per loro. Jesolo è una città che raggiunge 6 milioni di presenze, che dà lavoro a migliaia di persone. Ormai anni fa la stagione permetteva di vivere quasi per l’intero anno, poi la disoccupazione si è progressivamente assottigliata, oggi di fatto è solo un piccolo aiuto per non andare a vivere sotto un ponte. Serve un colpo di reni, un nuovo patto per il lavoro che deve essere riscritto con nuovi codici e una rinnovata, rivoluzionaria alleanza. —

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