«Un uomo di sport e non solo questo è il giusto riconoscimento»

I dirigenti della società ricordano la figura di Ferruccio Bianchi 

il ricordo

Ex giocatori ed ex presidenti, per tutti il ricordo per Ferruccio Bianchi è caloroso e pieno di riconoscenza. Enrico Nali e Francesco Gasparini sono coloro che per primi hanno dato impulso alla intitolazione dello stadio a Maci, come lui stesso amava farsi chiamare. «L’intitolazione dello stadio a Maci è un atto dovuto», sottolinea Nali, «ci siamo mossi subito in questa direzione quando morì. Ero presidente del settore senior, mentre Gasparini all’epoca lo era per il settore giovanile. L’intitolazione è il giusto riconoscimento per colui che ha fondato una società al servizio della nostra comunità. Penso che Maci sia stato l’elemento più importante perché oggi il Mirano Rugby, a parte i suoi campionati sportivi, si propone nella capacità di infondere e sviluppare i principi e valori che possono essere la base educativa per i nostri ragazzi. Significa lavorare sugli uomini prima ancora che sugli sportivi. La cosa più bella di Maci era questa: ha fatto tutto in funzione della crescita dei più giovani. I nostri progetti di oggi sul sociale hanno un fondamento nella eredità che ci ha lasciato». E ancora: «Era un uomo di sport e come tutti gli uomini di sport andava in campo per vincere, continuava sempre a incitare la squadra anche quando le partite non andavano come lui pensava. Regalava sempre una parola di conforto. Una persona positiva. Penso che non soltanto il Mirano Rugby, ma tutta la comunità di Mirano, debba dare atto e merito a questa persona straordinaria per ciò che ha fatto».

Francesco Gasparini ricorda: «È ovvio che Maci rappresenta la storia del rugby miranese. Da sfollato del Polesine ha portato qui da Rovigo una disciplina prima non praticata. Il ricordo più sentito che ho, l’immagine che mi rimane sempre, è quella di quando vedeva giocare i bambini e si emozionava. Non era molto espansivo, ma quella era la soddisfazione più grande, era il futuro del Mirano che si concretizzava. Mi ha trasmesso la passione pura».

«L’importante era giocare e divertirsi, meglio se si vinceva, ma ci teneva ad apprezzare il gioco e formare i ragazzi. “Se sono qui in campo, i ragazzi non sono in giro” ci diceva sempre. Di lui, come dirigente e sportivo, conservo solo tanti ricordi positivi». —

S. B.

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