Salvatore (ora a Mestre) «Ho imparato guardando il maestro Livio Di Rosa»

MESTRE
Tre generazioni di una stessa famiglia, impegnate nella scherma, non sono cosa di tutti i giorni. I Puccini ci sono riusciti, con Salvatore oggi istruttore a Mestre e Vittorio Veneto. Molto amato dai suoi allievi, ha fatto del gruppo dentro e fuori le pedane una filosofia vincente, ponendo l'amicizia e il rispetto reciproco quale collante nell'attività sportiva della sala.
Una passione di famiglia?
«Sì, una grande passione che ci ha trascinato in giro per l’Italia, una passione per lo sport che ci ha uniti, accompagnati e aiutati nei viaggi e nei tanti trasferimenti. Tre generazioni coinvolte rappresentano qualcosa di veramente bello».
Inizio da fiorettista, poi la sciabola, ora insegna spada.
«La spada è arrivata in età matura, ed è un'arma che ho riscoperto. Mio figlio Alessandro, e altri ragazzi, li seguo pure con il fioretto, che resta comunque il mio primo amore».
E la sciabola?
«Arma straordinaria, la più divertente di tutte, ma l'ho abbandonata perché è praticata meno nelle ultime società per cui sto lavorando. Tutte e tre le armi mi hanno dato molto, insisto con il dire che gli atleti ne possano praticare almeno due contemporaneamente».
Gli spostamenti tra le città sono stati una fortuna per poi insegnare?
«Il fatto di essere sballottati da una regione all’altra ci ha arricchiti, influenzati con tante tecniche diverse e in periodi differenti. Passando dalla scherma classica vista in Sardegna e Calabria, a quella innovativa di Livio Di Rosa a Mestre ed Ettore Geslao a Treviso. Ora è bello essere richiamati in Calabria a insegnare l'insieme di ciò che abbiamo acquisito nel tempo io e Flavio».
Il futuro della scherma?
«Siamo comunque qualificati alle prossime Olimpiadi con tutte le squadre maschili e femminili nelle tre armi. La scuola di scherma italiana è capace in maniera disinvolta di far crescere gli atleti. In qualità non abbiamo nulla da invidiare alle altre nazioni, ma dobbiamo far crescere i numeri dei praticanti. Per questo dico che tutte le società possono praticare almeno due, se non tre, armi».
Essere in una sala che è stata la prima al mondo, Mestre, cosa le ha dato?
«Ho imparato anche solo osservando. Di Rosa era un genio, ho capito cosa è la scherma applicata all'agonismo. Avevo 19 anni e ho potuto essergli accanto, senza parlare dei campioni che c'erano».
La Favaretto l'ha seguita da ragazzina con la spada.
«Fa piacere che sia passata anche attraverso di me nella sua fase di crescita tecnica e agonistica. Quando un’atleta arriva poi in nazionale e si scopre un grande talento, deve fare una scelta. Martina è la dimostrazione che, provando più armi, si è completata sotto vari aspetti. E credo sia un vantaggio psicologico. Poi, è ovvio che se fa la Coppa del Mondo di fioretto si deve allenare per quello». —
Simone Bianchi
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