Rocco Lamastra maestro nella storia: «Vorrei all’Arsenale la grande scherma»

Trentatrè anni con il Dielleffe: «Rivalità con Mestre? No, solo rispetto». Una vita tra i talenti: «Andiamo alla grande»

VENEZIA. Trentatré anni alla guida tecnica del Dielleffe, la società di punta della scherma a Venezia. Se non è un record, poco ci manca, e il maestro Rocco Lamastra è un punto di riferimento. Ha visto crescere grandi talenti e oggi, a 79 anni, ha l’entusiasmo e la carica di un ragazzino nel trasferire le sue competenze ai più giovani, sia in pedana che nei quadri tecnici. Ormai è nella storia.

«Mi viene la pelle d’oca a pensare che è passato tutto questo tempo. Ho iniziato in questa società nel settembre 1985. All’epoca si era al teatro davanti la ferrovia, a Santa Lucia. Una bella sala ma senza spogliatoi. Mario Venturini, uno dei fautori del Dielleffe Scherma, mi chiamò dopo l’uscita del maestro Galante».

I talenti non mancavano. «C'erano fiorettiste come Svalduz e Zane, e i primi risultati arrivarono anche con mio figlio. Poi fu la volta di Scarpa, Bonometto, Formentin, Tognolli, Zennaro e tanti altri. La sala prese vigore, soprattutto con i titoli internazionali. Quando vinci tutti vogliono venire da te».

Ma in precedenza ci fu anche l’esperienza mestrina.

«Ho vissuto l’avvio del periodo mestrino dal 1971 al 1983. Ero al fianco di Livio Di Rosa, crescevo i più piccoli e poi li passavo a lui. Li ho visti tutti, da Numa a tanti altri. Poi decisi di andare a Como».

Rivalità tra Dielleffe e Cs Mestre?

«No, solo rispetto, perché questo deve sempre esserci tra chi fa sport».

La scherma è cambiata in questi anni?

«È sempre quella, poi sta al maestro aggiornarsi. Se ha la fortuna di girare il mondo con le gare, può vedere le novità applicate altrove. Personalmente ho fatto tutto tranne le Olimpiadi. Oggi se non viaggi puoi aggiornarti con internet. In questi anni è cambiato, magari, il modo di applicare la scherma, tra il gioco di gambe e movimenti in attacco, ma la tecnica è la base, e senza non si farebbe nulla».

Il rapporto con i genitori e il risultato a tutti i costi.

«A loro dico sempre che ci vuole pazienza e tempo. Quando un atleta cresce, se ha classe prima o dopo arriva al successo. In una estate può cambiare tutto. È brutto, invece, quando una famiglia crede di avere in casa un campione e lo porta altrove mettendogli in testa chissà cosa. Lasciamoli crescere senza caricarli di responsabilità».

Il rapporto con i gruppi sportivi militari?

«Vengo dal primo esperimento che si fece quando ero nell’Esercito, e il generale Aloia volle creare a fine anni Cinquanta i corsi di scherma nei reparti. Ero alla Brigata Missili di Vicenza e feci il terzo corso, l’attuale presidente della Fis, Giorgio Scarso, fece il quarto. In molti siamo usciti da quella esperienza come maestri, gettando le basi per il futuro della scherma italiana. Tuttavia i gruppi sportivi militari rimangono una croce per le altre società, perché sappiamo che i nostri ragazzi migliori verranno presi. Ma avranno la possibilità di proseguire l’attività sportiva ad alto livello».

Nuovi talenti stanno crescendo al Dielleffe?

«A Treviso per la prova nazionale Gpg ne avevamo ventuno in gara, eravamo i più numerosi del Veneto. Stiamo andando alla grande».

Che effetto le fa vedere suoi ex allievi diventare maestri?

«Sono contentissimo. Penso a Fabio Galli a Frascati e nei Carabinieri, ad Andrea Cipressa Ct della nazionale o Matteo Zennaro ad Harvard».

Il sogno?

«Persa a Venezia la Coppa del Mondo, mi piacerebbe vedere all’Arsenale una prova nazionale giovanile. E poi aprire anche il Dielleffe alla scherma paralimpica».

Il futuro tecnico del Dielleffe è assicurato?

«Sì: con Galesso, Tagliapietra, Conca e Bonometto il testimone finirà in buone mani».

Simone Bianchi

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