Recoba, storia infinita «Venezia, il Penzo pieno e quei sei mesi da favola sempre nel mio cuore»

Nostra intervista con il “Chino” vent’anni dopo le sue magie in laguna Il campione uruguaiano in questi giorni a Jesolo per il camp di Vieri 

l’intervista

«Lo stadio Penzo sempre pieno, il viaggio in vaporetto per andare a giocare la partita, la gente che ti ringraziava per quanto stavi facendo. Sono dei ricordi bellissimi». Tra Alvaro Recoba e il Venezia c’è un amore che non conosce il passare del tempo. Sei mesi (gennaio-giugno 1999) importanti, con i suoi gol “El Chino” trascinò il Venezia, allora guidato da Novellino, a una salvezza che sembrava impossibile. Per Recoba quei gol furono il trampolino di lancio per tornare da protagonista all’Inter.

Estate 2019, vent’anni dopo, Recoba è a Jesolo per partecipare alla “Bobo Summer Cup”, l’iniziativa benefica promossa da Christian Vieri. Tra una partita di tennis e una di footvolley, El Chino accetta di sfogliare, insieme a La Nuova, l’album dei ricordi.

Vent’anni dopo, sei ancora un idolo per i tifosi del Venezia.

«Un po’ di anni fa mi avevano invitato a una partita, ma non ero potuto venire e mi era dispiaciuto. L’anno scorso è venuta a Venezia mia figlia, per la gita scolastica di fine liceo. Sono andati in una pizzeria e lì uno dei suoi compagni ha detto che era la figlia di Recoba. Il ragazzo della pizzeria si è messo a piangere. Mia figlia mi ha chiamato perché facessi un video con il telefonino a questo giovane. Ogni volta, ricevo sempre bellissime parole da Venezia. Voglio tornare al Penzo per una partita tra ex o per partecipare a qualche iniziativa. All’Inter sono andato spesso, ma a Venezia no».

Come avvenne il tuo passaggio al Venezia?

«Io e mia moglie eravamo due ragazzini, io avevo 20 anni e lei 18. A gennaio mi dissero: “Guarda che ti vuole il Venezia”. Mi ricordo che poco prima il Venezia aveva perso 2-6 a San Siro contro l’Inter. Con mia moglie ci siamo detti: “Che facciamo? Andiamo o non andiamo?”. Alla fine abbiamo preso la decisione di andare a Venezia, contro il parere dei procuratori, perché Novellino mi aveva convinto. Anche Massimo Moratti mi aveva spinto. “Vai lì a giocare, che ti diverti e ci sono delle belle persone”, mi aveva detto. Aveva ragione. Ho trovato dei compagni magnifici, che hanno aiutato sia me che mia moglie».

Il segreto di quella salvezza fu anche il gruppo?

«A Venezia fin dal primo giorno mi sono trovato da Dio. Tutti i venerdì andavamo a giocare a bowling con le famiglie. In un’altra società sarebbe stato difficile farlo. Ho dei ricordi bellissimi di quell’anno. Lo stadio pieno, i tifosi sempre carichi che ti ringraziavano per quello che stavi facendo. Era tutto bello e particolare, penso al viaggio in vaporetto per andare allo stadio.

Hai mantenuto i rapporti con i compagni di allora?

«Con Ciccio Pedone mi sento quasi sempre, anche mia moglie parla con sua moglie. Pochi giorni fa a Cesena, per una partita amarcord, ho rivisto Fabian Valtolina. Mi fa davvero piacere rivederli».

In questi giorni a Jesolo, tornerai a Venezia?

«Come turista, senz’altro. Con mia moglie siamo tornati una volta circa quattro anni fa, poco dopo aver smesso di giocare. Adesso vogliamo tornare insieme a nostra figlia. In questi giorni faremo un salto in città, ma come turisti. Se il Venezia fosse stato già impegnato in campionato, mi sarebbe piaciuto andare pure allo stadio».

Hai seguito le vicende del Venezia in questi anni?

«Sì, soprattutto in quest’ultima stagione, tramite i social network oppure Instagram. Prima dovevano giocare i playout, dopo no, poi di nuovo sì. C’è stata grande confusione e alla fine non sono riusciti a salvarsi. Ora la squadra è ritornata in B e mi auguro con tutto il cuore che il Venezia faccia un buon campionato. Anche se non c’è più nessuno dei miei tempi, seguo il Venezia con affetto. Se ripenso a certe partite giocate con lo stadio stracolmo, mi viene la nostalgia di rivederlo di nuovo così pieno».

Adesso cosa fai?

«Ho portato qualche giocatore in Europa, ma non mi considero un procuratore. Non penso di avere la personalità per fare il procuratore, perché è un mestiere difficile. Ho smesso di giocare quattro anni fa e ora me ne mancano due per finire il patentino di allenatore. In contemporanea sto facendo il patentino per fare il direttore sportivo. Ma lo faccio più che altro per continuare ad accumulare esperienza e capire come sta evolvendo il calcio. Anche se poi magari non allenerò in una prima squadra. Mi piace allenare i giovani, quelli che non hanno ancora nulla in testa se non la voglia di giocare a calcio. Purtroppo i tempi che cambiano non ci aiutano. Alla mia epoca, almeno fino a vent’anni io ho pensato solo a giocare a calcio. Mentre adesso a 13 anni i ragazzini pensano già al procuratore e al telefonino. Mi piacerebbe aiutarli a capire che, per giocare a calcio, devi solo ed esclusivamente di vivere per il calcio».

Se ti chiamassero ad allenare il Venezia...

«Sarebbe bello, ma non mi permetterei mai di prendere una squadra così importante, com’è il Venezia, senza avere la giusta esperienza. Puoi aver fatto tanti anni da calciatore professionista, ma non vuol dire che questo ti permetta di essere senza dubbio un buon allenatore. Ci vogliono le giuste conoscenze e l’umiltà di voler imparare e migliorare. Non è che, perché hai giocato nel Venezia e ti chiedono di fare l’allenatore, devi andare a farlo subito. Sarebbe una mancanza di rispetto per la maglia». —

Giovanni Monforte

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